Tamarro
[ta-màr-ro]Sign Giovane rozzo (o rozza) che sforza ed esagera i diktat della moda e del gruppo
dall'arabo: [tammar] venditore di datteri.I venditori di datteri non dovevano avere fama di intellettuali posati e raffinati, quando il termine sbarcò sulle nostre coste: in particolare, la realtà del giovane che dalla provincia giunge in città si è sempre prestata a generare rudi volgaroni che scimmiottano i costumi e le convenzioni mutevoli della società capitale. Gli usi e i significati specifici della parola variano moltissimo, nel nostro paese, ma quello che possiamo dire in generale è che ai giorni nostri, lievemente riassorbita la differenza fra provincia e città, il tamarro resta l'incontinente e sovraostentato adesore a modelli di appartenenza ad un gruppo: le cifre del tamarro cosmopolita possono essere il vestiario con firme cubitali, le automobili di specialissima moda, i modi di intrattenimento e gli interessi omologati, l'uso di linguaggi di branco. L'abito non fa il monaco ma lo fa riconoscere (...).
Vi consiglio di iscrivervi alla loro newsletter. Ogni giorno vi manderanno al vostro indirizzo di posta elettronica la definizione di una parola italiana diversa. Comunque, veniamo al sodo: si tratta di capire fino a che punto l'abbigliamento distingue il gruppo, cioè determina l'appartenenza a una specifica realtà socioculturale. Fin dai tempi dei paninari, si sa, chi vestiva giubbotto Monclair e scarpe Timberland veniva subito etichettato. Le tribù urbane (nate nelle più grandi città italiane e poi esportate nei centri di medie dimensioni) si sono sempre fatte riconoscere dall'esterno, grazie a una serie di simboli (un oggetto, un vestito, l'uso di una determinata marca) che ne ostentavano l'appartenenza.
Qui di seguito vi propongo un'attività sul film di Muccino Come te nessuno mai, che tratta dei gruppi giovanili romani e dell'abbigliamento di tendenza in quegli anni (fine anni Novanta). Potete guardare il video (parte 1ª), dal minuto 5:05, cioè il capitolo dedicato alla Questione dei vestiti, in cui il protagonista spiega che a Roma i gruppi giovanili si dividono in fasci, alternativi, b-boy, precisi (detti anche pariolini) e i normali.
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