I volontari che fanno male

Creato il 11 maggio 2013 da Archeologo @archeologo
Questo post è un po' complicato da scrivere. Innanzitutto per il mio conflitto d'interesse: nel 2002 ho iniziato a scavare in un'associazione di volontariato archeologico, dove ho collaborato per cinque anni. E - soprattutto - perché mi sono divertito: ed è proprio questo il problema.

Ho sempre avuto, fin da bambino, un'insana passione per l'archeologia e in una estate liceale decisi di provarla sul campo. Iniziai con il Gruppo Archeologico Romano a Falerii Novi, dove incontrai quelli che sono ancora alcuni dei miei migliori amici, e dove ho imparato i rudimenti del mestiere: mi divertivo molto, ed ho continuato per diversi anni fino al mio ingresso all'università, scavando necropoli etrusche, abitati longobardi e città rinascimentali. Tutto bellissimo, ma inopportuno (ovviamente, col senno di oggi). Cercherò di essere breve, e riassumerò in pochi punti ciò che - dopo diversi anni di studi accademici e attività di scavo professionale - mi hanno portato a pensare. Si può discutere delle metodologie didattiche, del tipo di scavo, dell'utilità di certi cantieri di scavo, ma alla fine la discussione è una sola: perché dei volontari dovrebbero sostituirsi a dei professionisti? In quale mestiere è permesso qualcosa del genere? A quattordici anni non ti poni il problema, dieci anni (di esperienza) dopo sì. Ma la colpa, com'è ovvio, non è del quattordicenne né del quarantenne che decide di fare una vacanza alternativa. Per quale ragione una Soprintendenza permette che l'attività archeologica sia svolta come hobby? Ma soprattutto, i risultati delle attività dei volontari in tutta Italia hanno portato ad una produzione scientifica, a delle pubblicazioni, ad un contributo negli studi?


In un comunicato dei Gruppi Archeologici d'Italia dopo il crollo del novembre 2010 a Pompei scrivevano: "Da quasi cinquant'anni i volontari recuperano dall'incuria monumenti, reperti e siti archeologici restituendoli alla pubblica fruizione, con la sola forza della passione". Cinquant'anni fa (forse), quando non esisteva una politica culturale/archeologica italiana, quando non era stato ancora istituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, poteva anche andare bene. Ma oggi, con il mercato del lavoro in queste condizioni, con i problemi derivati dai cumuli di materiale archeologico inedito, c'è davvero bisogno che decine di persone senza preparazione scientifica si sostituiscano a dei professionisti? L'attività dei volontari contro i tombaroli è stata sicuramente eroica, ma oggi esistono degli appositi reparti delle forze dell'ordine che si occupano dei reati contro il patrimonio culturale. So benissimo di cosa parlo, e conoscono bene il valore - culturale e sociale - di queste associazioni: ma ormai conosco anche la differenza tra una passione ed un mestiere. Se davvero vogliamo mantenere la possibilità di uno scavo per dilettanti, utile in effetti per chi voglia scoprire il lavoro dell'archeologo prima dell'università, che diventi un'eccezione, non la regola.
L'occasione di questo post è stata la discussione di questi giorni sulla Notte dei Musei e sull'impiego dei volontari in sostituzione del personale ordinario: mi sbaglierò, ma credo che nel suo mezzo secolo di attività il volontariato archeologico abbia perso il suo spirito e le sue motivazioni iniziali. Probabilmente anche grazie al loro contributo esiste una forte attenzione per il patrimonio culturale, soprattutto archeologico: ma bisogna anche saper cogliere i cambiamenti. Ho scoperto di non essere l'unico a pensarla in questo modo: anche l'Associazione Nazionale Archeologi, di cui non condivido la passione per gli albi professionali, non vede di buon occhio questa attività, criticandola anche con goliardia. L'attuale sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni ha un'opinione nettamente diversa e difende la scelta in un'inquietante prospettiva futura. Qui non si vuole accusare nessuno, ma ognuno faccia la sua parte.

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