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I voti agli OSCAR: dal 3 a Joe Biden al 10 a Morricone

Creato il 01 marzo 2016 da Luigilocatelli
Leonardo DiCaprio (foto dal sito degli Oscar)

Leonardo DiCaprio (foto dal sito degli Oscar)

Lady Gaga (foto dal sito degli Oscar)

Lady Gaga (foto dal sito degli Oscar)

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Ennio Morricone (foto dal sito degli Oscar)

Ennio Morricone (foto dal sito degli Oscar)

bocce ferme, e con il senno del giorno dopo il giorno dopo, proviamo a dare una valutazione ai vari Oscar. Chiamiamola pure pagella, in omaggio alla scuola e alle maestre di un tempo, quando c’erano promozioni e bocciature chiare e nette e non si usavano ipocriti eufemismi tipo credito formativo.

Chris Rock, il presentatore, anzi host della serata. Voto 7 e mezzo
Meraviglioso, anche se un po’ lungo, il suo monologo d’apertura. Meraviglioso per intelligenza e per come ha saputo affrontare la questione dei black (presunti) esclusi dagli Oscar con coraggio e autonomia di giudizio senza sprofondare nella melassa politicamente corretta. E però ha sbagliato a insistere sul tema per tutta la serata, che ha sofferto per un eccesso di benintenzionalismo politico (lo speech di Leo, la performance di Lady Gaga ecc.). Adesso gli imputeranno il calo vistoso degli ascolti televisivi, ma mica è colpa sua. Lui la sua parte l’ha fatta.
Il caso Spotlight, Oscar come migliore film.Voto 4
Il classico caso in cui i contenuti e l’impegno prevalgono sui valori formali. Film ultratradizionale, bloccato agli anni Settanta, e anche semplificatorio. Non mi era piaciuto già a Venezia, non cambio idea adesso che ha immeritatamente vinto l’Oscar sfilandolo al più meritevole The Revenant.
Inside Out, Oscar come migliore film d’animazione. Voto 5
Avrei preferito vincesse Anomalisa, ma si trattava di un sogno irrealizzabile. Era scontato che la corazzata Inside Out avrebbe stritolato ogni concorrente. Uno dei film più sopravvalutati dell’anno, pieno di invenzioni mirabili, ma anche impiombato da una visione meccanicistica e ottocentesca del funzionamento della mente umana. Oltre che troppo aggrovigliato.
Joe Biden, presenter della canzone di Lady Gaga candidata all’Oscar (che poi non ha vinto). Voto 3
Ma scusate., era proprio il caso che il vicepresidente degli Stati Uniti andasse lì a supportare una canzone in gara? Si, capisco, c’era di mezzo la solita buona causa, il sostegno alla battaglia contro la violenza sessuale nei college, ma una figura istuzionale non dovrebbe scendere in campo in ambiti che non gli pertoccano, e questo degli Oscar non lo era. Tantopiù in un momento di primarie in cui anche il suo partito è coinvolto. Se fosse successo qualcosa di analogo in Italia saremmo qui a fustigarci per il nostro scarso senso istituzionale.
Leonardo DiCaprio, Oscar come miglior attore protagonista. Voto 7 e mezzo
Tutti contenti, se lo meritava da tempo. Che poi sgombriamo il campo dale critiche malevole: mica vero che The Revenant è la sua interpretazione peggiore. Significa averci capito poco di lui e del film. Così bravo e amabile che gli si perdona anche la sparata sul climate change.
Brie Larson, Oscar come migliore attrice protagonista. Voto 7
Niente da dire, in Room è formidabile. E però di quelle attrici che ammiri, ma che non ti scaldano il cuore. Sempre con quell’aria da prima della classe e di superiorità antropologica di chi viene dal cinema indie engagé.
Mark Rylance, Oscar come migliore attore non protagonista. Voto 8
L’ho adorato in un film che pure non m’ha fatto impazzire come Il ponte delle spie. Dov’era meravigliosamente la spia sovietica Abel, in un’interpretazione piena di sottigliezze dietro la maschera impassibile. Spiace solo che abbia portato via l’Oscar a un’american legend come Sylvester Stallone.
Alicia Vikander, Oscar come migliore attrice non protagonista. Voto 9
In un paio d’anni ha scalato tutto lo scalabile, traghettando impavida dalla Svezia a Hollywood. Non è solo brava, ha quella luminosità, ha il carattere speciale delle star. Nel troppo convenzionale The Danish Girl è la sola, con la sua interpretazione, a scavare oltre lo smalto della confezione e del politicamente a posto. Senc’è oggi un’attrice un palmo sopra le altre, è lei. Oscar indiscutibile.
Ennio Morricone, Oscar per la migliore colonna sonore. Voto 10
Dove lo trovi un signore carico di gloria che a 87 si rimette in gioco e elabora una partitura da film (per The Hateful Eight) complessa, stratificata, innovativa, coraggiosamente e modernamente sospesa  tra consonanze e dissonanze? Questo non è un Oscar mascherato alla carriera, che peraltro Morricone aveva già avuto, ma un Oscar vero.
Emanuel Lubezki, Oscar per la migliore fotografia. Voto 8 e mezzo
Per la terza volta consecutiva vince il suo Academy Award. Adesso per The Revenant, gli anni scorsi per Birdman e Gravity. Per The Revenant ha lavorato in coindizioni estreme riprendendo in luce naturale, compresi i lunghi piani sequenza rischiesti da Iñarritu. Un mostro, ecco. In aprile esce finalmente negli Usa Knight of Cups di Terrence Malick dove Lubezki ha fatto il solito miracolo e anche di più (vedrete che meraviglia di fotografia). Gli daranno anche il prossimo Oscar?
Lady Gaga, nominata all’Oscar categoria migliore canzone con Till It Happens to You. Voto 4
Orrendamente vestita in abito bianco transgender abbinante pantaloni e gonna amplissima, e con ancora più orrido hair styling, s’è fatta introdurre nientedimeno che dal vicepresidente Usa Joe Biden, e ciò è imperdonabile. Son cose che non si fanno.
Mad Max: Fury Road, 6 Oscar nelle categorie tecniche, compresi quelli per costumi, scenografia e montaggio. Voto 8 e mezzo
Giusto che tra i film-spettacolo e fracassoni dell’anno lo abbiano preferito al mediocre Star Wars: il risveglio della forza. Gli Academy Awards che si porta a casa se li è meritati tutti.
La grande scommessa, Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. Voto tra il 6 e il 7
Era una bella scommessa quella di scrivere un film in grado di triturare e rendere digeribile alle masse una cosa complicata come il crollo finanziario del 2008, quello passata alla storia come la crisi dei subprime. Scommessa in gran parte vinta, e dunque giusto Oscar. Anche se poi, nonostante gli sforzi dei due sceneggiatori Charles Randolph e Adam McKay un bel po’ di punti oscuri rimangono.
Il figlio di Saul, Oscar come miglior film in lingua straniera. Voto 9
Era il vincitore annunciato, e così è andata. Si parlerà a lungo di Il figlio di Saul, film imperfetto ma capitale per come ha riscritto il paradigma dell’Holocaust-movie e i suoi modi di rappresentazione. Peccato per gli altri notevoli concorrenti come il danese Krigen e il colombiano El abrazo de la serpiente, che meritavano pure loro. Ma mica si può condividere un Oscar, lo sharing lì ancora non l’hanno inventato.
Ex Machina, Oscar per i migliori effetti speciuali. Voto 8
Piccolo grande film, quello di Alex Garland, un interno-inferno a tre di manipolazioni incrociate, un Pinter abilmente mascherato da sci-fi per farlo digerire anche ai giovinastri. L’Alicia Vikander replicante è una magnifica invenzione, ed è bello che l’Oscar per gli effetti speciali sia approdato qui e non dalle parti di giganti senz’anima come Star Wars.
Alejandro González Iñarritu, Oscar per la migliore regia. Voto 8 e mezzo
Vincitore (per l’Oscar da regista) e sconfitto (per l’Oscar più importante, quello del miglior film, scippato da Spotlight). Ormai lo si dovrà considerare un grande, se lo merita, e non tanto per gli Academy Awards accumulati tra l’anno scorso e quest’anno, è che ormai è un autore di riferimento, imprescindibile. Molto odiato però, anche perché non fa quasi niente per stare simpatico, anzi più fa il piacione come nello speech dell’altra notte e meno piace. Nessuno è perfetto.
Amy, Oscar per il migliore documentario. Voto 6 meno
Non che sia brutto, anzi Amy è film che si fa voler bene. Solo che sarebbe stato giusto premiare The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, tutto qui.
Gli Oscar edizione 88. Voto 6 e mezzo
Memorabile il monologo introduttivo di Chris Rock, qualcosa che passerà alla storia di Hollywood, e però serata troppo virata sulla correttezza politica, sulla black issue, sull’ambientalismo e via dilagando tra diversity e inclusivity. Finendo col sospingere il cinema e i film in secondo piano. Premi nel complesso azzeccati, con l’eccezione dell’Oscar per il miglior film immeritatamente andato a Il caso Spotlight, e non è un’eccezione da poco.


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