Il volo di Icraro è un pessimo romanzo che regala al lettore una summa del cattivo scrivere, involontariamente grottesca e con risultati ridanciani, che non può passare inosservata.
Narra in prima persona la più classica storia d’amore gay tra studenti universitari alle prime armi con il rapporto di coppia. L’esito della storia è disastroso, i due si lasciano per banale incompatibilità di carattere, esattamente come per tanti amori acerbi che per la loro comunissima banalità non trovano spazio nella narrativa.
Cristian Cizmar decide invece di condividere con tutto il Creato tutta la sua sofferenza per quella disfatta, insieme ai piaceri che ne vennero, e al cupo dolore da cui è comunque sopravvissuto per regalarci questo romanzo.
Peccato che nel testo oltre a tanta, troppa enfasi da “piccolo grande (grandissimo) amore”, (mi fai godere tanto tanto tantoooooo), nemmeno si nasconda tanto è esplicito, il nulla di una vicenda poco tratteggiata e confusa (l’incontro, il primo coito, il secondo coito, qualche scappatella extraconiugale, un viaggio a Parigi, fine della storia).
La confusione, artefatta forse per aggiungere un tocco letterario, non fa che aumentare il provincialismo di un lavoro alla “vorrei ma non posso…” essere un grande scrittore.
Sullo sfondo della vicenda una Bologna rappresentata con evidenti richiami al Tondelli di Altri libertini, ma ad una distanza siderale dall’eleganza dei “porcodio” tondelliani.
Ma veniamo agli aspetti che fanno l’opera di interesse più generale. Cizmar, aggiunge un tocco volontariamente letterario alle descrizioni dei rapporti sessuali con il suo partner, ispirandosi liberamente ai romanzetti porno etero tutti “godo” e “sbrodolo” da leggersi ad una mano, con un risultati comici.
E’ il caso del pene con indosso il condom, nonostante l’erezione di una “grossezza ai limiti della brutalità” e poi addirittura “stratosferica”, “sembrava un obelisco ricoperto per lavori di ristrutturazione”.
L’aspetto devirilizzante della similitudine è recuperato attingendo ad un sano militarismo in un passo nel quale lo stesso organo “in tutto il suo turgore fulgido” è rappresentato metaforicamente come “un soldato glorioso e impavido, con l’elmetto lucido e scuro in bella vista”. E’ quantomeno sperabile che l’elmetto sia buco.
Il soldato finisce senza troppe cerimonie in bocca al protagonista ma “senza troppa avidità, mettendoci l’anima” con tecniche da far invidia poco esplorate dai kamasutra moderni anche per limiti fisiologici che l’autore, in preda ad un raptus di grafomania sessuale, non ha: “la mia lingua lunghissima prese ad avvolgere tutta l’asta nella sua circonferenza”.
Va peggio all’ano a contatto con la lingua del partner che si apre “come una rosa nera che fiorisce in fretta”.
Tra una “cappella rubiconda” e un “sedere paffuto” e schizzi all’unisono che formano ics d’estasi va bene comunque più al protagonista che “ulula” di piacere che al lettore.
Soffrono persino le descrizioni non sessuali: “Nicolò aveva due occhiaie profonde che parevano due uova al tegamino andate a male” e “un’andatura da orso handicappato”….
Icaro? Aggiunge all’ameno guazzabuglio un tocco inutile di mitologia da supermarket.
Cristian Cizmar
Il volo di Icaro, Zoe, 2001.