Ice ice, Baby

Da Crudina
Era giugno, ma uno di quei mesi di giugno anomali. Perché era freddo, come se si fosse tornati indietro in un primissimo giorno di primavera, quando ancora la natura non si era sintonizzata alla data del calendario, quando il sole non fa capolino tra gli alberi spogli e, se arriva, nemmeno lo senti.
Le sere, quelle sere di giugno, erano così. Stavi nella tua stanza, con i piedi ghiacciati, una felpa distrattamente abbandonata sulle spalle e la solitudine come un ombra grigia tutto attorno.
Cerchi il calore ovunque: in un paio di calze di cotone, in una maglia avvolgente, in una coperta in più sul letto. Ma senti che non è necessario, non è ciò di cui hai bisogno; anche a costo di sembrare banale, ci sono delle volte in cui tutto ciò non basta, tutto ciò che servirebbe è solo lui. Lui che chiama se non riesce a venire, che ti parla mentre ti senti nuda, che ti anticipa che presto verrà a trovarti. Che sussurra attraverso la cornetta che non vede l’ora di sentire il tuo corpo fremente. Tutto questo sai che ti riscalderà più del miglior cashmere, che riempirà la stanza di un sottile fumo rosso, così avvolgente, come quell’abbraccio che ora non c’è, ma sai che presto arriverà. Invece, l’unica luce che arriva è paradossalmente fredda, bianca, come quella di un’anonima sala d’aspetto, senti che trasmette solo ghiaccio. Che ti fa sentire ancora più impassibile.
Vedi la foto di un gatto, distrattamente navigando nella rete; lo guardi, e pensi subito che a lui piacciono. Quello della foto è piccolo, piccolo come il gatto che aveva qualche mese fa. Era appena nato, sembrava uno scricciolo deforme, eppure a lui piaceva così tanto, lo teneva tra le mani e rideva, i suoi occhi ridevano, come non avevi mai visto. Ti riempiva di gioia sapere che dal suo sguardo potesse emergere tanto amore, sapevi che ne avrebbe avuto tantissimo da spartire.
Istintivamente, salvi la foto sul desktop, digiti il suo nome. Solo due righe.
“che dolce, è piccolo. Mi fa tanta tenerezza”.
La risposta arriva tempestiva.
“Ma è tuo quel gatto?”
Era fuori dalla mia portata, non sarei riuscita a capire nemmeno sforzandomi. I gatti non sono i miei animali preferiti. Mi conosce da tanto, sa che ho paura del loro sguardo penetrante; che mi inquietava Micio mentre io e lui facevamo l’amore e mi guardava, come se volesse staccarmi le carni di dosso perché avevo surclassato, in quel momento, il suo potere e la sua superiorità su di lui. Arrivava da dietro per spaventarmi, zampettando furtivo sul comodino facendo cadere qualcosa. Era un avvertimento, che forse avrei dovuto tenere a mente: “Lui è mio. Per quanto puoi sforzarti, non sarà mai del tutto parte di te, anche se ora sei qui, con lui, e le sue mani ti stanno accarezzando”. Continuava ad osservarmi mentre facendo finta di nulla continuavo a baciarlo. Ma dentro di me, in fondo e ben nascosto, sapevo che Micio aveva ragione.
No, pensavo, non potevo accettare che non cogliesse tutto l’amore che era celato dietro quella foto. I miei piedi divennero di ghiaccio, una coltre sottilissima di ghiaccio chimico calava dalle pareti della stanza per avvolgere tutto. La luce divenne ancora più chiara, un fascio di luce accecante che mi illuminava la mente.
Non risposi, provai a dormirci su. Il ghiaccio mi seguiva come un’ombra melliflua e decadente. Era sotto e sopra le mie coperte, passava attraverso il lenzuolo. Penetrava attraverso le ossa, diventava parte di me. Non voleva lasciarmi andare, mi doveva far convincere che lui avrebbe vinto. Nemmeno il lenzuolo rimboccato sino alle sopracciglia attenuava i brividi nel mio corpo. Domani, pensavo, domani ci sarebbe stato ancora il sole, il primo sole di primavera che avrebbe fatto sciogliere la cortina di ghiaccio e neve su di me. Avrei lasciato una scia scintillante e brillante dietro di me. Le ragazzine avrebbero pensato a una scia di piccoli diamanti grezzi e avrebbero vissuto un breve sogno ad occhi aperti.
Eppure, quella foto. Nonostante la mia paura dei gatti mi aveva riempito di calore. Speravo che arrivasse sottoforma di byte attraverso il pc, che lo aviluppasse completamente mentre aspettava che la connessione lentissima avrebbe caricato la foto. Era come il momento che precede la pace dopo una violenta litigata: capisci che è tutto finito, tutto è risolto nel migliore dei modi e lui è lì, che ti aspetta a braccia aperte, e tu ti fiondi, lasciando la paura alle spalle, la cacci via con un piede, come si fa con un rifiuto maleodorante che devi portare assolutamente fuori di casa. È una sensazione di pace, tutto il mondo non potrebbe essere migliore di così, perché quell’abbraccio silente vale più di mille parole, mille mondi nuovi, mille gatti appena nati.
Pensai a Micio. Lui aveva rotto il vaso, ma era ancora lì. Io avevo rotto tutto il resto, e sono ancora qui.
Sola.

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