Il mondo dei manga è un qualcosa nel quale ho sguazzato per lungo tempo e nel quale continuo a nuotare ancora con grandi bracciate, per quanto ora cerchi di ampliare il mio occhio fumettofilo su tutti i generi e nazionalità possibili. I manga però sono sempre i manga, i fumetit con cui ho iniziato e coi quali ai tempi instaurai un amore fin troppo esagerato - ero qualcosa molto simile a un jappominkia, a essere sinceri - ma che hanno saputo regalarmi pietre miliari come Akira, Buonanotte Punpun, 20th century boys, Death note e, a suo modo, anche Naruto. Sono sempre un rifugio sicuro quando si vuole cercare qualcosa di assolutamente atipico e, nei casi, disturbante, perché di gente perversa come i cari vecchi giapponesi ne ho vista davvero poca, ed è questo il motivo per il quale amo molti manga e moltissimi altri anime. Discorso diverso per il cinema di quella parte dell’estremo oriente, perché se per quanto concerne la Corea posso dirmi sufficientemente informato di certo cado come una pera cotta se dopo una discussione inerente all’animazione nipponica poi un certo furbone decide di passare a parlare di cinema. Da quel punto di vista ho una certezza, e questa certezza è Takashi Miike, l’unico che poteva far diventare un manga come Ichi the killer un cult su celluloide ancor più esagerato.
Un temibile boss della mafia viene trucidato in maniera inaudita, ma non viene lasciata nessuna traccia. Tutti i suoi sottoposti si danno da fare per condurre le indagini circa la scomparsa, fra i quali spicca il cinico e crudele Kakihara, suo secondo con la faccia cicatrizzata e tenuta insieme mediante due piercing, che si avventura nel sottobosco urbano alla ricerca d’informazioni. I suoi metodi però sono particolarmente violenti e infatti, quando tortura il boss di un clan rivale, viene estradato dal sindaco della yakuza. Nessuno sospetta però che il killer sia Ichi, un giovane ragazzo disturbato controllato mentalmente da dei loschi figuri...
Figuratevi che questo fu il mio primo approccio con quello che è il cinema di Takashi Miike. Un approccio esagerato, certo, ma sicuramente ottimale per farmi capire cosa dovevo aspettarmi da colui che è il regista più prolifico al mondo (più di cinquanta film in appena vent’anni di carriera, dico sul serio!) ma anche quello più estremo. O almeno, uno dei dieci più trasgressivi, tanto che persino Marylin Manson rifiuto he fosse lui a girare il videoclip di una sua canzone, mostrando quindi quella che è in realtà la sua vera natura. Se poi un regista simile arriva a incontrate l’opera di Hideo Yamamoto, allora siamo apposto. Il mangaka avevo già avuto modo di conoscerlo grazie a Homuncolus, un’opera davvero malata e che in certi punti rasentava lo schifo totale in quanto a impatto visivo. Non è manco da meno il suo Ichi the killer, il manga da cui è stato tratto questo film, perché certe sequenza rasentavano davvero l’insostenibilità psicologica. Due pazzi che vengono a incontrarsi, quindi il risultato non può che essere un qualcosa di estremamente malato. E infatti è proprio così. Le aspettative non vengono di certo a mancare perché già i primi minuti, col titolo che merge da una chiazza di sperma lasciata proprio da Ichi, mostrano tutto la malattia e l’inquietudine lasciate da questo film. Che comunque non rimane un film permeato di una violenza fine sé stessa, ma porta dietro di sé dei significati e delle analisi precisi. L’intento dei due autori infatti è quello di imbastire una storia malata che voglia analizzare delle mentalità malate, quella di Ichi e quella di Kakihara, che pur reagendo su due meridiani opposti, alla fine vertono sul medesimo tema: il dolore. Ichi è un ragazzo che ha sofferto tanto, uno che è rimasto schiacciato dalle pressioni dei suoi aguzzini, che hanno fatto breccia su un dolore immaginario, e che in qualche modo soffre e gode del dolore arrecato agli altri. Si innamorerà di una prostituta dal volto tumefatto dalle botte e dal suo stesso uccidere troverà giovamento, proprio perché non è programmato per fare altro. Kakihara invece è un nichilista, uno che un po’ se ne frega, ma che troverà uno scopo di vita proprio nella ricerca dell’assassino con cui condivideva una passione masochistica. Il godimento principale del giovane yakuza infatti è quello che infliggersi dolore e, dio conseguenza, trovare un qualcosa che sia realmente in grado di spaventarlo. È questo che diventerà il vero fine della sua ricerca di Ichi, qualcuno in grado di mettergli una proverbiale paura fottuta e di dare così un nuovo senso alla propria vita, un nuovo dolore che possa fargli percepire l’inadeguatezza di vivere al mondo. Questa logica vale sua per loro che per tutti gli altri comprimari, tutti segnati da una storia dolorosa e che sembra aver segnato in qualche modo la loro esistenza non lieta, fatta da fallimenti che i hanno fatti diventare quello che sono. Tutti covano del dolore e ci viene rappresentato nella sua matrice più sporca e fallimentare, riflesso anche di un modo di vivere e pensare che il modernissimo e tecnologicissimo Giappone non riesce ad abbandonare del tutto, nonostante il suo progresso e la sua avanguardia. Certo, quella di questi personaggi sono delle psicologie che rasentano la demenzialità, ma hanno comunque una loto coerenza nel mondo ricreato da Miike, un mondo volutamente non credibile ma che finisce per essere molto rassomigliante alla realtà, e sorretto dal suo gusto estetico sui generis che qui viene portato veramente al limite. Se nel suo Django c’era un barlume di speranza, un divertimento di base che poteva portare qualche gioia, qui tutto è nero. L’umanità non merita di vivere ed è così rappresentata nella sua peggio forma e dai suoi peggiori elementi - fra cui spicca anche il cammeo del regista Shinya Tsukamoto, il regista di Tetsuo. Perché alla fine non ci sono vittime o carnefici. Chi più e chi meno, siamo tutti predatori, ed è questa la nostra colpa principale.
Un film sicuramente da vedere per gli appassionati del genere, ma che va però maneggiato con molta cura. È qualcosa che non a tutti può piacere, senza contare il fatto che i più sensibili potranno restare turati da certe sequenze di violenza davvero estrema e gratuita. C’è a chi piace... e a me, me piace!
Voto: ★★★★