IDA è un film votato al rigore e all'austerità, caratteristiche spesso condensante a una particolare tendenza di cinema d'autore. La maniacale precisione della composizione formale delle inquadrature, l'uso del b/n, la recitazione minimale in cui la protagonista è un'attrice non professionista e volutamente inespressiva, dialoghi ridotti all'osso, l'uso della musica extra-diegetica nel finale, sono scelte stilistiche che non possono che rieccheggiare l'eco del "dogma" di Robert Bresson (più che di Carl Theodor Dreyer, come erronamente è stato citato dalla critica internazionale). Pawel Pawlikowski ha corso un grande rischio perchè ci aveva abituati a tutt'altro e con ciò il presentimento di esercizio di stile è spesso vivo durante la visione del film, eppure ai fatti, IDA non si chiude come un cristallo forgiato minuziosamente a tavolino, ma piuttosto come un vulcano in eruzione di trascendenza, dal quale moltissimi si difenderanno o respingeranno ogni tipo di partecipazione emotiva, come accade spesso nel cinematografo di R. Bresson (ci si può trovare in lacrime alla visione della marcia finale di Un condannato a morte fuggito, senza che sia l'esito espressivo-recitativo dei personaggi a suscitarlo). IDA è un'opera che apparentemente potrebbe somigliare a un viaggio di formazione, ma l'assenza di psicologia ci costringe a fare i conti con qualcos'Altro. Il percorso spirituale della protagonista è un percorso della negazione tutt'altro che semplice o comunque in linea con la morale religiosa del convento in cui la stessa protagonista è vissuta. La prima negazione che la protagonista subisce è quella della propria identità, sua zia Wanda le rivelerà il suo vero nome e le sue origini famigliari ebraiche, la seconda negazione è quella della vita al di fuori del convento percorsa durante l'investigazione sulla sua famiglia con la zia, che susciterà in Anna/Ida dei grossi interrogativi e sentimenti nuovi, soprattutto dopo aver conosciuto un musicista di nome Lis, di cui rimane infatuata. L'investigazione della famiglia con la zia, si conclude con un'esito raccapricciante: Anna/Ida conoscerà il responsabile degli assassini della sua famiglia e finalmente potrà ritrovare i resti dei suoi cari per riporli al cimitero. Anna/Ida ritornerà al convento, ma il suo è un ingresso/ritorno che si traduce sempre nello stesso travaglio spirituale di incertezza tra Dio e il mondo.
La Zia Wanda, in uno dei momenti più crudelmente poetici del film, si suiciderà sotto le note di un lp di Mozart, negando anch'essa qualcosa, la propria vita che era ormai era ridotta alla solitudine più cieca. Ma la sua morte assume la forma di un richiamo spirituale in Anna/Ida, che si ritroverà nella sua casa compiendo lo svestimento del suo abito religioso e con ciò di tutta quella parte di stessa che appartiene ancora ad "Anna". Sarà soltanto Ida. Liberata dalla convenzione del convento che le è stata segnata dalla prima infanzia, deciderà di vivere l'amore carnale con il musicista Lis. Eppure qualcosa si muove ancora dentro Ida. E si muove anche nell'immagine finale (di rara intensità), girata con una sorprendente telecamera a spalle (scelta stilistica estranea a tutto il resto del film), che ritrae Ida in abito religioso camminare verso l'obiettivo della mdp, sullo sfondo di una campagna notturna mentre autovetture e motocicli viaggiano nell'orizzonte, in senso opposto al suo. E' anche l'unica scena del film in cui interviene la musica extra-diegetica con le note di un piano che bisbigliano il toccante Ich Ruf Zu Dir Herr Jesus Christ di J. S. Bach. Ida non ritorna al convento, si incammina per la prima volta verso l'Altro (Cristo).