Idelfonso Nieri, Burla a un cacciatore

Da Paolorossi

Una volta ero in un caffè, e lì a un tavolino dicontro al mio una brigata di giovanotti ragionavano di caccia, e uno diceva:
«Io non dico, la gamba in un cacciatore è qualcosa, ma per isternacchiarli da vero ci vuole occhio, non avvinarsi e snellezza; snellezza ci vuole! Non s’hanno anche a esser mossi, che devono avere la carica addosso. Come mi fanno scappar le risa certiduni che per andare a caccia si veston di moda: cappellone a brigante colla piuma da una parte a tutta cuglia, giacchetta di velluto attillata, il cordone della fiaschetta attraverso e quella panciera stretta colle cariche belle e fatte, stivaloni in calata, la pezzuola di colore al collo e i manichini duri, stirati a lucido, ai polsi!… Sciolti bisogna essere, e non portare neanche la pippa; sbottonati davanti e braccio libero e scalzi, potendo, a voler fare da un fulmine. Han l’ali, ve’, gli uccelli! Loro invece per apparir bellini e figurare van legati come salami. Sciabigotti! Ma per loro è sempre vigilia; o se ne portano a casa, li chiappano co’ pallini d’argento!»
«Già, dice un altro, li compran da questo o da quel cacciatore e poi se ne spaccónano, sgargiano e fanno i bravi, come se gli avessero chiappati loro. Cacciatori, pescatori e cavallari per bugiardi…! ne sfaloppan tante delle bugie, chi li credesse!»

Castiglione Garfagnana – Cacciatori alla partenza per una battuta – Foto tratta da “Come eravamo-Lucca” – Ed. Il Tirreno

Allora cominciò un altro:
«Mi torna a mente una bella burletta che inventarono certi fèuti di giovanotti a uno di questi pappazzucchi, che ogni momento andava in padule e tornava sempre colla catana zeppa. Tornava colla catana zeppa e a mala pena sapeva tirare a fermo! a volo poi non coglieva in un pagliaio; anco lui come il potestà: mira qui e coglie là; eppure tutte le volte eran beccaccini, bózzoli, forciglioni, pappardelle, gallinelle, seneppini…. Giurammio Bacco!, cominciarono a dire, che storia è questa? Gatta ci deve covare! qui c’è l’aiuto dei Buonvicini, o qui lavora lo dio Palanca!  Uno di loro si mise a pedinarlo; scopri paese e scovò che quando andava in padule, spediva un bigliettino due o tre giorni prima a uno di quelle parti, cacciatore di mestiere, e lui zitto zitto gli preparava la carniera all’ordine e ben fornita. Un giorno rinvennero che aveva fissato la gita per la mattina dopo, e loro la stessa sera montano in barroccino e via a orecchi rittida quel cacciatore! Gli unsero per bene la mano, perchè lasciasse fare, e tesero il trabocchetto. La mattina dunque l’amicone va in padule puntualmente secondo il combinato e caccia secondo il solito. Que’ giovanotti la sera, là verso l’oretta che doveva tornare, si prepararono nella strada e passeggiavano in su e in giù per non parere, aspettando l’omo. Infatti poco dopo te lo videro comparire. Gli vanno incontro:
«Com’è ita?»

E lui tutto glorioso e trionfante:
«Una giornata d’oro! C’eran come le mosche. E che polvere! Ogni botta sonava a morto: pun, giù! pun, giù! Di quelli sfoghi!…»
«E che hai preso?»
«Noi agli uccelletti non gli tiriamo; le passere, i saltampali, i filunguelli li lasciamo ai novizi! Guardate qua!»   e cominciò a levare di catana beccaccini, gambetti, pivieri, pappardelle…
«Acciderba! quanti! dove l’hai scavata cotesta polvere? Morti stecchiti senza una goccia di sangue!» E l’omo intanto se ne teneva, si ringogiava…
«Lasciaci un po’ vedere»  e uno di loro sceglie un beccaccino e un altro una pappardella, e gli soffiano nelle penne come per vedere l’effetto del piombo. «To’! dice il primo, questo beccaccino qui ha roba giù per la gola!»
Dice quell’altro «E questa pappardella l’ha di dietro nel deretano!»
«È un foglio di carta arrotolato! C’è scritto, permío! gua’, c’è scritto! E un beccaccino parlante! Con tante scuole hanno imparato anco loro! Senti, senti come ci dice:

M’ha comprato e poi si vanta di avermi chiappato!
Bravo pitoro!
Se andavi in piazza, spendevi meno e facevi più presto!

E nel foglio della pappardella ci è scritto:

Birindèndere birindèndere
Ai minchion tu l’hai a dare ad intendere!  »

Poveraccio! Dalla vergogna non trovava più neanche la via per tornare a casa! A volo dunque era sempre inizium santi Vangeli secundum nullam! A fermo qualche volta ci pigliava, ma anche lì ci era arrivato a furia di moccoli, sciupar polvere e buttar via piombo. E poi volete sentire nei primi tempi, cacciatore che era?

Massarosa – Due cacciatori al ritorno di una tela alle folaghe nel 1947 – Foto tratta da “Come eravamo-Lucca” – Ed. Il Tirreno

Un giorno era ito alla lepre: ne aveva levate due, ma sìe! gli potevan fare anche la manferina sulla mira: tirava a sesta e coglieva a nona! Benché passassero tutte e due a mezzo tiro dalla sua posta, bisognò si contentasse di vederle scappare. Lo portava via il diavolo dalla sípia; resíe da fare scurir l’aria! Tornare a casa a vuoto, mai! Era vergogna, e non sapeva a che santo votarsi. Per buona fortuna sentì dire che certi ragazzi là di lì ne avevano presa una viva. Gli parve d’essere sul cavallo d’Orlando; va difilato in che quelli, e la compra.
«Ora gli assesto il colpo dove mi pare a me, e mi potrò anco giurare che l’ho ammazzata io».

La lepre era legata per il collo con una funetta. Agguanta la funetta e va un pezzo in là per il colle, e intanto pensava fra se come inventare il modo d’averla chiappata:
«I cani hanno attaccato fiato giù in un forrone; era fiato buono: e lì urla e lì guattisci! L’hanno levata e lei a salti via per il colle! Trova uno scepone e non può traversare, e lei via! gronda gronda, viene a sfondare dalla mia parte, e i cani dietro! Quando m’è stata quasi a tiro che stavo per fischiargli la botta, mi fa una fiancata, e io borda! La colgo un po’ in fallo e scappa, e io dietro senza perderla d’occhio! Alla fine, quand’è a saltare una fossa, vedo che non aveva potuto. Corro là e la trovo strabaccata laggiù dentro colle gambe all’aria che sgambettava, e io per assicurarla gli ho tirato una botta nella testa di qui lì».

Intanto arriva in un punto che gli parve adattato; lega la funetta colla lepre e tutto lì a piè d’un palo, si scosta pochi passi e gli mira nella testa per fare l’effetto immaginato; parte la botta e la lepre via! a lanci e a schizzi che pareva un tappo di saetta. Pover’omo! invece di coglier la lepre aveva colto la funetta e l’aveva mozzata!»

( Idelfonso Nieri, Burla a un cacciatore, racconto tratto da “Cento racconti popolari lucchesi”, 1908 )