Ora di consuntivi per la 69 edizione del festival di Venezia che ha chiuso i battenti con il verdetto della giuria presieduta da Michael Mann premiando come molti avevano preannunciato il film di Kim Ki Duk “Pietà”. A seguire nell’importanza del palmares, e forse vittorioso ai punti per la somma dei premi vinti, il pronosticato della vigilia, quel “The master” che si è portato a casa il premio speciale della giuria e quello per la miglior interpretazione maschile andato ex – equo a Seymour Hoffman e Joaquim Phoenix. Per finire e non senza sorpresa il miglior regista è stato Ulrich Siedl autore di “Paradise: Faith” accolto almeno dai critici italiani con una certa insofferenza. A fronte di questo palmares il grande sconfitto è almeno dalla prospettiva del cinema italiano Marco Bellocchio con il suo “Bella addormentata”, lungamente applaudito in sala, lodato un po’ da tutti ma poi come era già successo per “Buongiorno notte” escluso dalla considerazione dei giurati. Proprio oggi rispondendo ad un ansa che riportava l'affermazione di un membro della giuria a proposito della provincialità espressa dai film italiani il regista piacentino ha fatto sapere che gli stranieri non devono insegnarci a fare il cinema. Una frase sacrosanta anche al contrario e che comunque la dice lunga sull’umore del regista.
Una sorpresa il mancato riconoscimento a "Bella Addormentata" che pur senza vittimismo è serpeggiata nella rete e nei programmi specializzati dove si è cercato di capire le ragioni della debacle. Nel ricordare che spesso nella storia del cinema film e registi sono stati menzionati tanto per i meriti quanto per il maltolto, basti pensare a Kubrick e dell’Oscar che non ha mai vinto, possiamo dire che i temi trattati dal film sono indubbiamente universali, ma che forse i riferimenti alla politica italiana ed il nome di Emanuela Englaro non producono fuori dai nostri confini la stessa emozione che invece scatta automaticamente dalle nostre parti. In più il fatto che l’eutanasia in molte posti del mondo a cominciare nella vicina Svizzera con le sue “cliniche della morte” (a Locarno il film “Quelques heures de printemps” di Stéphane Brizé ci ha regalato una delle sequenze più forti dell’intera annata con la morte per eutanasia della protagonista)è un fatto acclarato ed indiscutibile. Rimane il valore dell’opera (non la migliore e di molto sotto ad un capolavoro come “Vincere”) ed una capacità visionaria che ha pochi paragoni in Italia ed all’estero.
Detto questo si deve dire che in un’annata di film mediamente buoni ed interessanti ci sia stata la delusione dei cosiddetti mostri sacri, e cioè di Terence Malik con lo sbeffeggiato “To the Wonder” ed il patinato “Passion” di Brian De Palma che è passato senza destare nessun interesse. Tra le opere da rivedere e sicuramente dimenticate in sede di premiazione l’autobiografia giovanile e sessantottina di Oliver Assayes (Apres mai)e l’antonioniano “Izmena” (Tradimenti) che non vediamo l’ora di vedere nonostante il suo presunto velleitarismo. Una menzione speciale la merita anche “Spring breakers” pop/videogame movie di Harmory Korine, che ha il primato negativo di essere stato insieme a Malik il più vituperato e detestato per la presunta balordaggine ed inconcludenza di una storia che trasforma quattro teen agers in violentissime bad girls: da queste parti certe prese di posizioni hanno l’effetto contrario e per quanto ne so io sono molti ad aspettare che il fim arrivi in città. Ed ancora tra gli imperdibili “The Iceman” con il cuore di tenebra di Michael Shannon nei panni di un killer della mafia che riuscì ad uccidere più di 200 persone, una specie di Tsnunami che una volta a casa si trasformava in un padre dolce e premuroso.
Il cinema italiano a parte Bellocchio esce dalla mostra con rinnovata fiducia grazie all’exploit di “L’intervallo” una variante di Gomorra senza pistole ma con due attori giovanissimi che recitano come veterani e poi anche per la bravura di Valerio Mastandrea (Gli equilibristi), insieme a Servillo il dominatore di questa parte distagione (l’attore romano era uno dei protagonisti di “Padroni di casa” presentato a Locarno), ma soprattutto con un arte che ha dimostrato di saper guardare in faccia alla realtà e di sapere fare a meno dei grossi investitori. A testimoniarlo documentari molto belli e piccoli film di grande spessore come quello di Salvatore Mereu con “Bella Mariposas” altra storia di adolescenti tratta da un libro di massimo culto. In attesa di poter verificare quanto abbiamo scritto in questi giorni di “visioni da lontano” segnaliamo la possibilità di vedere parte dei film presentati a Venezia nella 13 edizione de "Le vie del cinema da Venezia a Roma" che inizia domani nella capitale. la selezione quest'anno è buona. Ci sarà da divertirsi, buon cinema a tutti.