Filius et Pater
Renzo è nato nel 1988, ha quindi 24 anni e un gran culo, l’essere figlio di Umberto Bossi e Manuela Marrone. Della “trota”, nomignolo affibbiatogli dal padre (che deriva direttamente dall’esperienza di pescatore d’acqua dolce), ha tutto: l’aspetto, lo sguardo, la siluette e l’intelligenza anzi, a volte le trote vere lo sono di più (intelligenti) perché mica è facile catturarle, soprattutto quelle che vivono nei fiumi e non negli allevamenti intesivi. Pessimo studente pluriripetente, affetto da una vera e propria fobia per la scuola e per la cultura, siamo convinti che da piccolo si divertisse come un pazzo a tagliare le code delle lucertole, a mettere gli aghi dei pini nel culo dei maggiolini per farne elicotteri e le miccette alle code dei gatti pronto a farle esplodere. L’espressione di Renzino, in alcuni momenti, è quella dei killer seriali: sguardo assente, capoccione basculante, voce monotonica, slang volutamente incomprensibile e la voglia di mettere mano alla Magnum 44 quando un giornalista gli chiede cosa fa nella vita e lui non sa che cazzo rispondere. Renzo è il figlio che nessuno vorrebbe avere ma che quando purtroppo capita, perché la cicogna ha sbagliato l’indirizzo della consegna, occorre tenerselo; i figli, si sa, so’ piezz ‘e core. Guardandosi bene dall’avere un’arte né tantomeno una parte, Renzo ad un certo punto decide che per ottenere uno stipendio senza fare un cazzo deve entrare in politica. Soprattutto dopo l’ictus del padre, e il partito diventato di proprietà della mamma e di Rosy Mauro detta ‘a badante, la strada è tutta in discesa. Si presenta alle elezioni regionali lombarde, prende un fottio di voti e si assicura un posto di lavoro al Pirellone: 12mila500 euro al mese che, per un nullafacente, sono una bella paghetta. Lo mettono perfino in “commissione trasparenza e assegnazione lavori pubblici” ma a lui, esperto di new media, quel posto sta stretto, esattamente come quello in commissione antimafia. Allora decidono di inserirlo nel consiglio di amministrazione dell’Expò, altri soldini, altro giro, altra corsa. E a proposito di corse, Renzino ama le auto potenti, quelle che, simbolo di denaro e di potere, gli permettono di rimorchiare le ragazze che altrimenti non se lo cagherebbero di pezza. Acquista una Bmw stratosferica ma non in leasing, come racconta al padre, ma chiedendo aiuto a Francesco Belsito che fa rientrare 100mila euro dalla Tanzania per pagare in contanti il giocattolo di Renzo. È allora che l’altro figlio, Riccardo, si incazza e chiede al tesoriere del partito di sostenerlo finanziariamente in una causa civile che ha in corso. Non si può dire di no al secondo genito del capo e della signora Manuela per cui rientrano altri 100mila euro che pareggiano quelli dati allo strano pesce di nome Renzo. Ma la villa di Gemonio della famiglia Bossi ha problemi strutturali, ci piove, il tetto è da rifare e occorre una stanza in più dove mettere le playstation dei figli. Belsito si fa parte diligente e finanzia interamente i lavori di ristrutturazione dell’abitazione a insaputa di Umberto il quale, naturalmente, crede che quei lavori vengano pagati con i fondi della famiglia e non del partito. Stesso ragionamento per il parco macchine di casa Bossi: manutenzione, assicurazione, bollo e benzina costano un patrimonio e per una normale famiglia italiana rappresentano un costo insostenibile. Sistemata in qualche modo la precaria situazione della Bossi&Co, occorre dare una mano a RosyMauro, la peggiore vicepresidente della Camera degli ultimi 150 anni. ‘A badante si sente sindacalista e un sindacato, il Sinpa (Sindacato Padano), lei lo fonda sul serio. Un sindacato costa ma Belsito non si fa pregare e allenta i cordoni della borsa. Negare soldi all’amica del cuore della signora Manuela, significherebbe per lui un tracollo personale e politico. I magistrati scoprono però che una delle sedi del sindacato padano si trova in Sardegna e iniziano a porsi qualche domanda alle quali la Mauro risponde: “Beh, sì, lo devo ammettere, è casa mia”. A Umberto, quel gran pezzo di trota di Renzo, mostra fiero il libretto universitario di studente di economia pieno di bei voti. Umberto crede che il figlio sia vicino alla laurea ma non è vero niente, perfino i voti degli esami sono taroccati. Da qui, dall’aver appurato fatti e non maldicenze, parte la rivolta dei “Rinnovatori”, il movimento interno alla Lega che ha a capo Bobo “Blues” Maroni. Il 10 aprile, fra qualche giorno, i Rinnovatori si ritroveranno a Varese pronti a dare la scalata alla leadership del partito. Dopo essere stati vessati a suon di anatemi dal “cerchio magico”, i maroniani si sentono forti e in grado di mettere sul piatto della bilancia la credibilità di chi non si è fatto pagare l’auto dal tesoriere del partito. Non solo. Irritati dalla sola presenza di una trota vorace nell’acquario leghista, oggi si pongono l'obiettivo di mettere un freno al familismo che, soprattutto dopo il 2004, ha tenuto saldamente in mano tutto il Carroccio, compresi i buoi e le ruote di legno di scorta. In quanto a Umberto, lo ritraggono affranto, sconfitto, deluso, in perenni e irrefrenabili crisi di pianto. Distrutto dalle menzogne dei figli Renzo e Riccardo e dalle amicizie pericolose del tesoriere, il Senatur si è rinchiuso nella sua camera da letto a leggere le memorie di Gianfranco Miglio. Mentre “Chi l’ha visto” ha ricevuto la telefonata preoccupata dei familiari di Roberto Calderoli che sembra essere scomparso nel nulla, volatilizzato dopo essersi attaccato a una liana. Il geniere esperto nell’uso del lanciafiamme è andato in crisi ricordando i “no” di Belsito alla sua richiesta di acquisto di una bananiera battente bandiera keniota. E dopo che il tesoriere gli ha negato anche l’acquisto di un carico di noci di cocco proveniente dal Burkina Faso, Calderoli è andato fuori di testa. L’ultimo avvistamento lo da ramingo nei boschi della Valtellina. Ma forse si tratta di Cita, quella vera.