di: Tommaso Di Francesco e Manlio Dinucci
Merito della mozione di Sel e M5S, che ha dato voce a quanti da anni si oppongono alla partecipazione italiana al programma dell’F-35, è quello di aver inceppato il meccanismo del consenso bipartisan. Per fare ciò si è fatto leva fondamentalmente sull’enorme costo dell’aereo, in gran parte ancora da quantificare, al quale – abbiamo già documentato sul manifesto – si aggiungono i costi operativi (almeno un miliardo e mezzo di dollari annui) e quelli ancora più ingenti per gli ammodernamenti e per i sistemi d’arma sempre più sofisticati. Restare nel programma significa quindi firmare un assegno in bianco, da pagare con denaro pubblico sottratto alle spese sociali.
Non ci si può però limitare alla questione del costo. Intervenendo ieri alla Camera, il ministro Mauro ha ribadito che gli F-35 sono necessari per sostiture i Tornado, gli Amx e gli Av-8b, arrivati al termine del loro ciclo di vita, aerei che hanno finora garantito l’«azione della difesa» che porta l’Italia a «ripudiare la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie» e che allo stesso tempo rende necessario «il mantenimento al massimo dell’efficienza delle Forze armate». La questione di fondo su cui è chiamato a esprimersi il parlamento, sottolinea il ministro, è la seguente: «È pensabile ed è possibile, se amiamo la pace e vogliamo amare la pace, in alcune circostanze, armare le ragioni della pace?».
È questa la sfida da raccogliere non solo in parlamento ma nel paese. La questione dell’F-35 è infatti indissolubilmente legata alla politica militare, strumento della politica estera. Dobbiamo dire no all’F-35 perché è un pozzo senza fondo che ingoia miliardi di euro, pagati con denaro pubblico, perché sottrae risorse alle spese sociali per arricchire i grossi azionisti delle industrie belliche. Ma allo stesso tempo perché è concepito – lo spiega la stessa aeronautica militare – per «la proiezione in profondità del potere aereo», ossia per le guerre di aggressione. Altro che umanitarie. E perché rende l’Italia, tecnologicamente e militarmente, ancora più dipendente dagli Stati uniti.
Come abbiamo già detto, i piloti e i tecnici dell’F-35 saranno formati negli Stati uniti e verranno di conseguenza a dipendere dalla U.S. Air Force più che dall’aeronautica italiana. Gli F-35 «italiani» saranno integrati nel sistema C4 (comando, controllo, comunicazioni, computer) Usa/Nato: saranno quindi di fatto inseriti nella catena di comando del Pentagono. Sarà questo a decidere il loro impiego in una guerra e ad assegnare loro le missioni da compiere. Va ricordato a tale proposito che le 90 bombe nucleari statunitensi, stoccate ad Aviano e Ghedi-Torre, saranno trasformate in nuove bombe nucleari a guida di precisione, particolarmente adatte ai nuovi caccia F-35.
Questo caccia di quinta generazione serve quindi non ad «armare le ragioni della pace» ma ad armare le ragioni della guerra. Serve ad una politica militare ed estera che, nell’alveo di quella Usa/Nato, assume caratteristiche sempre più aggressive, camuffate dal paravento delle «missioni di pace». Violando quell’articolo 11 della Costituzione che il ministro Mauro (laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore) ha la faccia tosta di recitare.