Saranno state le 23. Stavamo sparecchiando. Di questi tempi qui si consumano cene tardive, nella speranza di un refolo di fresco (vana). A un certo punto, una voce rompe il silenzio dell'estate. Il vuoto dell'estate. Si tratta di una donna. Che grida "lasciami". Fortissimo, più volte. Un grido vero, che avevo sentito solo al cinema. Seguita da un uomo che replica: "vieni qui ti ammazzo".
Circa questo. E l'orrore è proseguito per cinque sei minuti. Fino a quando siamo scesi in strada, ci siamo appostati di fronte alla casa in questione e abbiamo chiamato i carabinieri.
Il silenzio e il vuoto del quartiere, a quell'ora, in questo periodo dell'anno, sono assoluti. A me spaventano, non ho ancora trovato la formula per sopportare bene queste ondate di calore che nella mia iconografia personale rappresentano il nulla.
La donna e l'uomo comunque nel frattempo avevano smesso di gridare.
Fissavo il cortile di questa casa dove spuntavano due o tre bambini con la pelle nera. Un gruppetto di ragazzi tornava da una bevuta e riaccompagnava un amico. Dei due di prima, più nessuna traccia sonora.
Alla fine, arrivano due macchine dei carabinieri. Spieghiamo che una donna urlava "lasciami" molto forte (e purtroppo incredibilmente vicino). E intanto una signora, con il cane al guinzaglio, che non avevo notato ma che forse ci osservava da un po', si avvicina e mi chiede: "di cosa sta parlando?". Le racconto l'accaduto e tutto mi aspettavo, tutto ci aspettavamo noi che eravamo lì, tranne che lei dicesse: "quella donna sono io".
Una piccola vertigine. Ma, com'era possibile?
"Quello che gridava era mio figlio, un ragazzo paralizzato". Ed è andata avanti con i suoi fatti di vita. Ha raccontato la sua storia, a dire il vero assurda, piena di lacune e incongruenze e, abbiamo concluso tutti, un po' delirante. I carabinieri le facevano domande sulla Asl, su altre cose, e ci chiedevano di tenere una certa distanza dalla signora. Che in effetti aveva occhi spiritati.
Vi racconto questa storia perché ho poi riflettuto. Qualsiasi cosa sia realmente avvenuta tra quelle quattro mura, ho pensato che il male, il peggio, il dolore, tutto ciò che assume una connotazione negativa nella vita delle persone molto spesso non è chiaro. Non è circoscrivibile: per questo ferisce, confonde. Il dolore è qualcosa di ambiguo. Bisogna stare attenti, rimuginavo quindi, là dove c'è opacità.
Ciò che mi aspettavo io era un bel salvataggio in piena regola. Con una povera e santa donna spettinata che ci ringraziava per il generoso aiuto. E l'omone cattivo, truce, alcolizzato, tra le sbarre. Con buonapace di tutti. Con medaglia d'oro a noi e ai carabinieri e foto ricordo (esagero). Invece la realtà era tutt'altro che comprensibile. Era annacquata. Era uno stagno dove non si vede sotto. Non sapremo mai, quindi, la verità. Che perciò resterà ferma in una zona grigia, una zona oscura. Una zona dove non si capisce, con tutta la buona volontà, come stanno davvero le cose.
Ma facendo un passo oltre. Anche "il bene", allora, il bene assoluto, se c'è, per analogia, sta proprio lì dove la luce e l'ombra si toccano per un istante? Le cose più belle della vita, in effetti, non hanno una sola tinta, un solo colore, non sono, in una parola, poi così chiare? Su questo sono incerta, ma ci sto ragionando. O forse non c'è molto da ragionare?
Cos'è, in conclusione, quell'imponderabile che lascia così, nel deserto o nella meraviglia? Senza parole. O con pochissime parole.
Una cosa sola è sicura, però, di tutta questa storia. Ed è quella di chiamare sempre i carabinieri se si sente urlare qualcuno in quel modo. Ce lo hanno confermato: non è stata una perdita di tempo.