Igor’ Severjanin
Igor’ Severjanin, pseudonimo di Igor’ Vasil’evič Lotarëv, nacque a San Pietroburgo il 16 maggio 1887. A causa dei difficili rapporti tra i genitori, trascorse l’adolescenza a Sojvol, nei pressi di Čerepoviec, nella tenuta di uno zio. Nelle sue prime poesie si avverte l’influenza dei poeti K. Fofanov e M. Lochvizkaja (v. nel mio blog). A differenza di molti poeti dell’Età d’argento, Severjanin evitò i simbolisti. Nel 1911 creò a Pietroburgo il gruppo letterario degli “egofuturisti”. Il programma formulato dallo stesso fondatore prevedeva la valorizzazione del proprio io, la ricerca del nuovo senza rinnegare il vecchio, immagini audaci, epiteti, assonanze e dissonanze, sensati neologismi, ecc. Severjanin stesso creò moltissimi neologismi poetici. In seguito Majakovskij ammetterà di aver imparato molto da lui nel campo della creazione delle parole. Ben presto Severjanin si separò dagli egofuturisti e per un breve periodo aderì al cubofuturismo. Nel 1913 pubblicò il primo volume di versi La coppa ribollente di tuoni, con una prefazione di F. Sologub. Il titolo era preso da un verso di F. Tjutčev. In questi versi Severjanin sosteneva che il mondo si salverà grazie alla bellezza e alla poesia. Il libro ebbe molto successo e in due anni fu ripubblicato ben 7 volte.
Severjanin coltivava consapevolmente la propria immagine di raffinato poeta-idolo. Appariva nelle serate di poesia con un’orchidea all’occhiello, declamava con un ritmo melodioso che sottolineava la musicalità dei versi. Era noto per la sua eleganza, per i suoi capelli impomatati con la scriminatura al centro, gli occhi scuri e malinconici e un lillà sempre nelle mani. “Il poeta e la sua fama” è il tema che occupa un posto importante nella creazione di Severjanin, che si autodefinì “il genio”. Tuttavia l’eroe lirico della sua poesia differiva sostanzialmente dal poeta stesso. Il suo amico intimo G. Šengel’ ricordava: «Igor’ possedeva una mente demoniaca…la sua capacità introspettiva e intuitiva aveva dell’incredibile, con un piglio tolstoiano penetrava nell’animo, e sempre si sentiva più intelligente del suo interlocutore…». Severjanin affermò il diritto del poeta di essere apolitico e di scrivere come più gli è congeniale, senza alcuna dipendenza dagli eventi sociali. Nel mezzo della prima guerra mondiale apparve la sua raccolta Ananassi nello champagne (1915).
Il 14 febbraio 1918 al Museo Politecnico di Mosca, nel corso di una serata controversa, negli umori del pubblico e nei ricordi dei presenti, Igor’ Severjanin – malgrado la sua fama di “borghese” – venne eletto “Re dei Poeti”, precedendo Majakovskij che arrivò secondo. Quest’ultimo salì sul palco gridando: «Abbasso i re – ora non sono più di moda!». «I miei ammiratori – ricorda Severjanin – protestavano…Irritato, mi allontanai». Allora Majakovskij gli disse: «Non te la prendere, io ce l’ho con loro, non ho insultato te. Non è questo il momento di occuparsi di piccolezze!» E’ nota tuttavia la reciproca antipatia tra i due poeti, che del resto era inevitabile, considerando la loro natura e la loro poetica.
Dopo la Rivoluzione del 1917, Severjanin fu uno dei primi poeti a lasciare la Russia e nel 1918 si trasferì in Estonia. Qui nel 1921 sposò Felissa Kruut e continuò la sua attività letteraria. In Estonia uscì la raccolta Verbena (1920), a Berlino Menestrello (1922), L’usignolo e La tragedia del Titano (1923), a Bucarest Il pianoforte di Leandro (1935). Nel 1925 pubblicò il romanzo autobiografico in versi Le campane della cattedrale dei sentimenti. Tradusse tra gli altri Baudelaire, Verlaine, A. Mickiewicz e i poeti estoni.
Severjanin ha scritto molto, ma la sua creazione è estremamente varia e contraddittoria. Le sue poesie migliori sono quelle in cui predominano il lirismo, la musicalità e la satira. Nei suoi versi che esprimono, talora con un compiaciuto esibizionismo, i temi del singolo individuo come unica realtà e del culto dell’istante, è molto ben tratteggiata la noncuranza e la frivolezza della borghesia russa, incurante della rivoluzione incombente.
Poesie di Igor’ Severjanin tradotte da Paolo Statuti
Quando di notte…
Quando di notte tutto tace,
Voglio i fuochi, voglio l’allegria,
Voglio il chiasso, la gaiezza,
Che il lampadario l’ombre cacci via!
Il palazzo è silenzioso, il palazzo è deserto,
Senza suono sussurra una serie di leggende…
Il senso è doloroso, il tema è lungo
Come serpi di neri nastri rasenti…
E il cuore piange, e il cuore soffre,
Sta per spezzarsi, e tu aspetterai…
Vuoi il vino, allegria, melodie,
Ma la notte è chiusa – dove li troverai?
Brillate, o pensieri! Ridete, o sogni!
Lanciati, o musa, in un’estatica danza!
E per noi – un miraggio? Minacce?
L’arte è con noi – e Dio è la speranza!…
1909
Ouverture
Ananassi e champagne! Ananassi e champagne!
Gustoso e frizzante fermento!
Ho qualcosa di Norvegia, ho qualcosa di Spagna!
L’ispirazione mi assale! Sto già scrivendo!
Stridono gli aerei! Corrono le vetture!
Fischiano i treni! Volano le slitte alate!
Là chi è percosso! Qui chi è baciato!
Ananassi e champagne – polso delle serate!
Tra ragazze nervose, tra donne mordaci
La tragedia della vita cambio in sogni e farse…
Ananassi e champagne! Ananassi e champagne!
Da Mosca – a Nagasaki! Da New York – a Marte!
Gennaio 1915
Poesia della stranezza della vita
Si incontrano per separarsi…
S’innamorano per disamorarsi…
Mi va di scoppiare a ridere,
E di scoppiare a piangere – e non vivere!
Giurano per violare il giuramento…
Sognano per maledire i sogni…
Oh, triste colui che comprende
Quanto i piaceri siano vani!…
In campagna si vuole la città…
In città – un luogo appartato…
E ovunque volti di uomini
Senza l’anima umana…
Come spesso la bellezza è deforme
E nella deformità la bellezza è presente…
Come spesso la pochezza è nobile
E iniqua la bocca innocente.
Come non scoppiare a ridere,
Non scoppiare a piangere, come vivere,
Quando è possibile lasciarsi,
Quando è possibile cessare d’amarsi?!
Febbraio 1916
Classiche rose
Come fresche e belle eran le rose
Del mio giardino! Che fascino arcano!
Come pregavo: o gelide notti,
Non toccatele con la fredda mano!
Ivan Mjatlev, 1843
Nei tempi in cui sciamavano i sogni
Nei cuori della gente, chiari e trasparenti,
Come fresche e belle erano le rose
Del mio amore, dei miei lieti momenti!
Son trascorsi gli anni e scorron le lacrime…
Non c’è il paese, né chi viveva in esso…
Dei ricordi del tempo passato
Come fresche e belle son le rose adesso!
Ma i giorni vanno – già cessa la tempesta.
La Russia cerca la strada di casa…
Come fresche e belle saranno le rose
Gettate dal mio paese sulla mia bara!
1925
Tutti dicono la stessa cosa
A S. V. Rachmaninov
Gli usignoli del giardino claustrale,
Come tutti gli usignoli del Signore,
Dicono che una sola è la gioia –
Ed essa è nell’amore…
Anche i fiori del prato claustrale,
Con la grazia nei fiori innata,
Dicono che l’unico merito –
E’ sfiorare la bocca amata…
Il lago del bosco claustrale,
Tutto di azzurro colmato,
Dice: non c’è sguardo più azzurro
Di quello di chi ama ed è amato…
1927
(C) by Paolo Statuti