Igort è uno dei più importanti autori italiani di fumetti. Nel corso degli anni Ottanta collabnora con alcune delle principali riviste nazionali e internazionali tra cui “Linus”, “Alter”, “Frigidaire”, “Metal Hurlant”, “L’echo des Savanes”, “Vanity”, “The Face”. Nel 1983 fonda con Brolli, Carpinteri, jori, Kramsky e Mattotti il gruppo Valvoline. Nel 2000 fonda la casa editrice Coconino Press. Ha al suo attivo una carriera di musicista, con il gruppo Igort & Lo Ciceros. Nel 2000 fonda e dirige la casa editrice Coconino Press. Il suo romanzo a fumetti: “5 è il numero perfetto” è pubblicato in 15 paesi e sta per diventare un film. I suoi ultimi libri, “Quaderni ucraini” e “Quaderni russi”, editi da Mondadori, nascono dalle sue esperienze di viaggio nell’est Europa.
Non capita spesso di poter entrare tanto a fondo nel processo che sta dietro alla realizzazione di un libro, o di un fumetto, come in questo caso. Non sto parlando dei tecnicismi stretti, degli strumenti, del metodo di lavoro, ma dell’idea, della sua nascita e di come si sviluppa nel risultato finale. Questo è Pagine Nomadi, un vero e proprio diario di viaggio tra le pagine dei Quaderni scritti e disegnati da Igort su Ucraina e Russia. Un viaggio che segue quello, reale, fisico, dell’autore nelle terre da lui riportate su carta, ma anche le influenze apparentemente nascoste, le fascinazioni non direttamente visibili e comprensibili a una prima lettura, le sensazioni che hanno guidato la mano dell’autore, le emozioni dei ricordi rivissute al momento di riordinarli e selezionarli un un’opera finita – anche se solo al momento della pubblicazione, anche solo per arrivare a chiudere un progetto editoriale compiuto.
Parliamo intanto di come nasce questo volume, un po’ diario, un po’ catalogo, un po’ studio?
E’ un libro, diciamo questo. Punto. Un libro concepito come un racconto tra le pieghe del narrare viaggiando. Non mi ha mai interessato lo studio in quanto tale né tanto meno il fare cataloghi (orrore). Ma mi interrogo sulla narrazione e sulla contemporaneità, mi piace molto mantenere nei miei libri le fonti dirette, quando la narrazione lo permette. Nei quaderni russi ci sono ritratti ottocenteschi, foto, piantine. Tutto quello che riporta alle fonti eterogenee che costituiscono un racconto all’atto della ricerca sul campo. Tutto è narrazione. E oggi il lingua del fumetto pare finalmente accogliere questa apertura, questa libertà.
È sinceramente affascinante, e intenso, questo lato B dei Quaderni, questa raccolta di materiale, di parole e disegni, di memorie e ricordi, di contributi e storie. Emerge tutto quello che, con autocontrollo e professionalità, è rimasto fuori dai due libri, e quanto deve essere stato difficile scegliere, scremare, tagliare.
Un racconto diventa un organismo vivente con una propria fisionomia, man mano che prende forma. Ed esclude, lo sa bene chi fa questo lavoro, cose anche molto belle che però devierebbero l’attenzione dal discorso che si sta seguendo. Per questo Pagine nomadi per me è una terza parte del racconto iniziato con Quaderni ucraini.
Queste Pagine sembrano uno sfogo, come se comunque tutta la vita dietro a questi due volumi non potesse restare in silenzio, in disparte.
Non concepisco il lavoro come uno sfogo, per quello c’è la palestra, casomai. A me interessa un taglio contemplativo, se possibile introspettivo. Siamo in una stagione nella quale il linguaggio del racconto disegnato sta ampliando i propri confini, molti nuovi lettori stanno scoprendo che si possono interessare al fumetto al di là di vecchie definizioni e funzioni. Al fumetto di intrattenimento si sta affiancando un fumetto impegnato. Champagne!
I taccuini vergati a mano rappresentano il contatto più stretto e diretto con il tuo essere in viaggio. A differenza dei libri, la tua presenza torna attiva, non più in disparte. Questo aggiunge un elemento secondo me importante, un contatto maggiore con quello che hai riportato, un metterlo in relazione con il nostro quotidiano, con il mondo com’è qui, ora, oggi. È in effetti uno dei motivi dietro alla nascita di Pagine Nomadi?
A un certo punto ti domandi se potresti vivere così, viaggiando per poi trasportare tutto in fumetto. Visitare la Cina, la Mongolia, luoghi, paesi, popoli che ci arrivano per stereotipi ma che senti il desiderio di vivere, scoprire in prima persona.
Io racconto per capire. Per decifrare le cose che vedo e che vivo. Ma occorre distanza e non mi piace anche chi, tra i miei amici, sbrodola e racconta il diario delle cose sciocche o futili. Occorre innanzi tutto il rispetto del tempo altrui, leggere un libro per scoprire cosa il famoso autore abbia mangiato quel tale giorno è scarsamente interessante per me lettore.
Ma un viaggio è sempre preceduto da un’immersione nella cultura del luogo che visiterò, proprio perché per me la curiosità non ha molto a che fare con il turismo.
Sicuramente hai fatto molti viaggi nella tua vita, ma solo ora questo desiderio è diventato così forte. Perché?
Il desiderio di raccontare quello che vedo è nato da una sfida, non sapevo se sarebbe stato possibile, se ne fossi mai stato capace. Poi si sono aperte delle porte, io credo di essere cresciuto. E’ chiaro che questo viaggio ha cambiato la mia vita, forse per ragioni umane personali ero più vulnerabile del solito, non so. Ma ho sentito un dolore molto forte, una tristezza esistenziale che avvolgeva quei luoghi. I luoghi della ex Unione Sovietica. E ho provato molto forte la necessità di misurarmi con quella materia.
Quanto ti ha cambiato lavorare ai Quaderni Mistici? Perché quello che si avverte è che qualcosa di forte si sia sedimentato in te tanto come autore quanto come persona.
Parlavo con Gipi l’altro giorno, e si diceva che i libri nascono dalla vita, non viceversa. Se affronto i quaderni mistici ora è per raccontare il paesaggio segreto del Caucaso. Di quei luoghi, della Russia, ho raccontato gli abusi, la violenza, il dolore. Ora è il momento di rendere giustizia a quei luoghi che sono anche la culla della civiltà, di un sapere antichissimo e spirituale di cui oggi non parla più quasi nessuno. Frequento la materia da oltre 25 anni. Mi ha sempre interessato un approccio metafisico all’esistere. Diciamo che i sensi sono solo uno dei molti attrezzi per conoscere il mondo. L’attrezzo più semplice. Ed è venuto forse il tempo per affrontare la sfida di raccontare i misteri.
Questi due fumetti ti hanno messo in contatto con molte persone, sia durante la realizzazione sia dopo, come emerge dai documenti e dai contributi nel volume. Se fare fumetti rischia di diventare un lavoro in solitaria, i Quaderni sono stati piuttosto l’occasione di stringere conoscenze, amicizie, di intrecciare rapporti veri e conoscere molta vita…
Ha significato portare “en plain air” il lavoro, come dicevano gli impressionisti nell’Ottocento. Occorreva uscire dallo studio, di più, abbandonare quella idea di fumetto come ruminare eterno dei miti dell’adolescenza. Non c’è nulla di male a voler ritornare bambini, di tanto in tanto. Ma se la cosa diventa una costante, l’unica via, allora mi annoio mortalmente. I linguaggi mi interessano, siano essi la musica, la letteratura o il mondo delle immagini, per le cose che veicolano. Non sono ancora giunto, come il mio amico Clowes ad amare il fumetto in quanto tale. Ci sono fumetti da buttare, come ci sono film da buttare e romanzi da non leggere. E quando mi ci imbatto cerco di non perdere tempo. Con gli anni ho capito che è un bene prezioso.
Il viaggio nei luoghi e nella storia si è mosso di pari passo a un viaggio spirituale; elementi mistici e religiosi si affacciano nei due Quaderni. In un passo del tuo taccuino dici di sentire il bisogno di pregare. Forse il raccontare stesso è una tua forma di preghiera?
Bella suggestione, può essere. Mi ha sempre affascinato il motto benedettino ora et labora. Un alleggerire lo spirito, un affrontare la vita con umiltà. In fondo i monaci che lo mettevano in pratica erano spesso amanuensi, che copiavano antichi manoscritti e li illustravano. Lavoravano spesso in piedi, come alcuni di noi.
Tra le pagine vergate a mano, scritte fitte, inframmezzate da disegni a biro o matita, esprimi anche l’importanza di un computer come strumento per raccoglie e organizzare foto, idee, documenti. Eppure c’è chi ancora vede l’arte, la manualità, la carta, contrapposti alla tecnologia. È ora di superare queste divisioni, non trovi?
Non riesco ad appassionarmi alla diatriba. Si fa musica, racconto o segni con quello che si vuole. Per me tutto è valido. Compro i libri con i fregi in oro di Chris Ware, così pure come gli albetti autoprodotti di John Porcellino o Gabrielle Bell. Sono due aspetti meravigliosi della stessa pratica. La febbre del fare racconto. Quella che guida le nostre vite di autori.
Il tuo lavoro ha avvicinato persone al fumetto, per il tema, la profondità, la diffusione data dall’editore.
Sei gentile, ma sul serio, io cerco di fare il mio piccolo lavoro nella maniera più onesta possibile. Credo nel lettore, credo nella necessità etica di dire delle cose, se mi riesce di porre delle domande. Seguo un percorso. Tra cinquant’anni ci crederemo che il fumetto è considerato come un sottogenere letterario? Oppure d’altra parte, ci renderemo conto che abbiamo prodotto tanto fumetto, non sempre utile o ben raccontato, e che giustamente tanta produzione cadrà nel dimenticatoio? Sarà possibile vedere che molte piste del fumetto di oggi ripercorrono sempre le stesse strade, milioni di volte, convinte che queste siano le uniche possibili, mentre gli spazi da esplorare sono ancora immensi?
Queste cose me le domando sinceramente.
Ormai sono trent’anni che pubblico le mie storie, quando vedi i tuoi lavori che invecchiano, alcuni non riesci neppure più a guardarli, altri magari ti sorprendono, crescono spontanee delle domande: cosa resta di tutto questo?
L’umanità, credo che se un racconto riesce a catturare un briciolo di vita, quello resta per sempre impigliato nelle pagine. Allora, sai, cambia tutta la prospettiva. Non ti importa più di “fare un successo”, diventi un cacciatore, vivi per inseguire quella piccola scheggia di vita. Per cercare di trasmetterla a chi ti vuol bene e segue i tuoi racconti.
Leggendo tra gli appunti, mi è piuttosto emerso come a te come autore interessasse ben poco come chiamare questa opera una volta finita, e mi sembra sia così per molti autori, che la diatriba su fumetto vs graphic novel sia molto più presente per editori e critici che per fumettisti e lettori…
Ma la diatriba non esiste, davvero. Il linguaggio si chiama fumetto, e il graphic novel è un genere di fumetto che ha spesso foliazione corposa ed è concepita come opera unica, con dinamiche non seriali. Che ci vorrà mai a capire un concetto del genere?
Come dire che il cinema è diverso da una serie televisiva. Mica è un’offesa. Trattasi di categorie semantiche.
Cosa pensi di questo tentativo di far passare certi fumetti per qualcosa che fumetto non è?
Il problema è di tipo banalmente industriale. Quando andai alla Feltrinelli di Bologna a chiedere se avevano Gen Di Hiroshima, mi risposero che loro non vendevano manga. Parlo di anni fa. Il manga era “roba da edicola”. E’ passato il tempo, quella stessa libreria ora vende i manga, solo che li chiama Graphic Novel. Direi che, al di là delle etichette è il risultato che conta.
Personalmente mi è capitato spesso che quando dicevo “faccio fumetti” mi si domandasse “e che personaggio disegni?”. E’ banale, ma nell’immaginario comune, in Italia, il fumetto è seriale e legato all’edicola. Non c’è niente di male, fino a quando questo non diventa un ghetto che esclude le altre forme possibili.
Quando è nata la Coconino, per esempio, le librerie avevano smantellato i loro scaffali dedicati ai fumetti,
I Quaderni non sono in realtà finiti, altre storie premono per uscire fuori. Ma soprattutto si percepisce che un modo tuo di fare fumetto è nato, si è sviluppato e troverà ancora la strada della pubblicazione, che sia un nuovo quaderno o altro.
Seguo le piste che mi si presentano un lavoro dopo l’altro. E ho notato che i libri si collegano, in un continuum di racconto che sorprende me per primo. Finiti i quaderni russi, mi sono ritrovato, il giorno seguente a disegnare. E dato che di solito, dopo la chiusura di un libro mi riposo, mi sono domandato cosa questo non voler staccare significasse.
Stava nascendo il lavoro seguente, “I quaderni mistici”, che sto affrontando ora.
Se imposti il tuo lavoro in modo di restare “all’ascolto” allora riconosci i piccoli segnali, ti fai guidare in un certo senso. In questi giorni disegno la storia di Pavel Florenskij. Scrivo e disegno come sotto dettatura. Non so precisamente cosa avviene, mi metto ogni giorno al tavolo e le pagine, il racconto, si compongono.
Per raccontare la mistica russa e ricostruire le storie, per riuscire a esprimere il senso di una ricerca forsennata, con le domande che una volta o l’altra tutti ci poniamo, occorre studiare. Non solo storia, per la documentazione, ma anche filosofia, metafisica.
E dunque eccomi, ho ripreso a leggere nel modo in cui si legge quando si studia. E’ un giro che mi porterà lontano, credo, in viaggio, tra Turchia, Egitto, e le montagne del Caucaso.
Sai, penso a quello che Magnus mi disse una volta. Per lui le regole erano: dei fogli di carta, una boccetta di china e una riga. Nient’altro. Intendeva che non si poneva limiti. Me la ricordo bene questa conversazione accaduta quasi trent’anni fa.
Io la vedo come lui. E’ il mio modo di capire quello che vivo e la realtà attorno a me. E per onorare la piccola comunità affettuosa a cui importa di quello che scrivo e disegno.
Abbiamo parlato di:
Pagine nomadi
Igort
Coconino Press, 2012
176 pagine, brossurato, colori – 16,00€
ISBN: 9788876182228
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