Il vuoto
La più sconfortante delle testimonianze raccolte da Igort nel suo soggiorno ucraino, è certo quella di Serhyoza e Sasha:
“non sanno vivere in questa terra, non sanno cosa farsene di questa terra. E non sognano neppure, perché nessuno glielo ha insegnato. Non c’è speranza, solo stordimento, confusione”.
È questa la più tremenda delle assenze: l’assenza di un futuro. E, poiché la speranza di un futuro migliore è condizione necessaria per la sopravvivenza di una società, è forte il timore che stiamo leggendo testimonianze di naufraghi, che vivono in in un paese alla deriva. Quello che un tempo era luogo comune per l’Africa, si materializza in Europa.
Spinto dal biglietto che Igort riceve da Nikolay Ivanovic, spulcio una enciclopedia degli anni 1990. Alla voce Ucraina, trovo (censimento 1989, per l’Occidente annus mirabilis) una popolazione di circa 51 milioni di persone. Il corrispondente dato su Wikipedia, plausibilmente aggiornato, dichiara 47 milioni. L’Ucraina è una terra enorme: guardatela sull’atlante e confrontate la sua superficie con quella delle nazioni occidentali (perdonatemi, figlio di un altro tempo, tuttora penso istintivamente l’Europa come Orientale e Occidentale, tagliata in due dalla cortina di ferro).
All’assenza di prospettive, che avvilisce i giovani, si unisce la povertà, che toglie dignità agli anziani e ai vecchi. Una povertà capillare, senza rimedio: misere pensioni che non hanno alcun rapporto con i prezzi e costringono a chiedere l’elemosina. In questo senso, la vita di Serafima Anreyevma, sembra incarnare quella dell’Ucraina: cresciuta attraverso la terribile carestia del 1932, l’holomodor, e chiusa nella vergogna della propria malattia. Credo non a caso Igort ponga a inizio e conclusione di questi quaderni la sua testimonianza; non a caso a lei è dedicato questo volume.
Holomodor
Scrive Vassilij Grossmann in Tutto Scorre, a proposito della dekulakizzazione del 1929-31 e della carestia ucraina del 1932:
“Niente è rimasto. Dove è andata a finire quella vita? Dove quelle orribili sofferenze? Possibile che non sia rimasto nulla? Possibile che nessuno paghi per tutto ciò? Ma allora tutto sarà dimenticato, senza una parola? L’erba ha ricoperto tutto” [1] .
Le pagine traboccano di strazio e dolore e l’impatto emozionale è al limite del sopportabile. Non tanto per una particolare crudezza delle immagini o delle descrizioni, quanto per la ferocia e disumanità delle logiche che sottesero a quelle stragi, per le quali l’Ucraina ha chiesto il riconoscimento come genocidio. È lo stesso orrore che qualsiasi tragedia gratuita ispira, perché proprio la gratuità è la fonte prima del senso di disorientamento che ci coglie di fronte a simili eventi.
La campagna ucraina, fertilissima e dall’agricoltura ricca nei secoli, viene sottoposta a un vero e proprio embargo durante la tremenda carestia, con il risultato dello sterminio dei suoi abitanti. La volontà di potere annienta l’umanità, tanto quella delle vittime, che arrivano al cannibalismo, quanto quella dei persecutori [2] .
Oltre novanta anni dopo, le ferite non sono rimarginate e le relazioni russo ucraine continuano a evolversi lungo linee di tensione. Basti pensare ai fatti legati alla cosiddetta rivoluzione arancione.
Eppure…
“Ho ripreso ad amarla. Semplice. Un gesto dopo l’altro. C’è una sua bellezza”.
E così, con questa nuova consapevolezza, vive i suoi giorni, disfacendosi delle cose che amava di più, perché sa che non gli serviranno.
Certo, si può leggerla come testimonianza di una resa, e non ho elementi oggettivi per dimostrare che sia una lettura sbagliata. Eppure penso che Nikolay Vasilievich abbia riscoperto la propria dignità, la gioia dei giorni e che proprio per questo Igort abbia posto la sua testimonianza al centro del volume, come un’ideale chiave di volta, come per affermare che l’amore per la vita è una forza in grado di sopportare e superare tutto.
Nell’intervista rilasciata a Ettore Gabrielli, dove le motivazioni e le scelte che hanno guidato la raccolta delle fonti e la stesura dell’opera sono analizzate in dettaglio, Igort afferma che i Quaderni si sono evoluti secondo un’esigenza di verità [3] . La verità va sempre intesa come un processo e come un’istanza non solo conoscitiva (che cosa è successo?) ma anche etica (quale è il senso di tutto ciò?). Rigore e passione sono condizioni necessarie per intraprendere un simile cammino, che può portare a condividere dolori e sofferenze estreme. Disgiungere conoscenza e compassione porta a una comprensione monca e questo primo volume dei Quaderni mostra in maniera esemplare questo percorso.
Abbiamo parlato di:
Quaderni ucraini
Igort
Mondadori Editore, 2010
180 pagine, brossurato, bicromia, 17,50 €
ISBN: 9788804604426
Riferimenti:
Il sito di Igort: www.igort.com
Note:
- Vassilij Grossmann: Tutto Scorre, Adelphi [↩]
- Per un’analisi storica del periodo, si può consultare il volume: Andrea Graziosi: L’URSS di Lenin e Stalin, Il Mulino. [↩]
- Ettore Gabrielli: I Quaderni di Igort, il narratore e la realtà: www.lospaziobianco.it/?p=19088 [↩]
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