In teoria, non dovrebbe. Il 25 aprile è una festa di unità nazionale contro il fascismo e il nazismo, in ricordo della Resistenza e di chi ha dato o rischiato la vita per la libertà dall’occupazione e dall’oppressione, per il riscatto e la dignità dei singoli e del popolo e sì, anche, ma non erano tutti, per una società più egualitaria e solidale. Dico non erano tutti perché gli ideali fondamentali della sinistra non erano gli unici che animavano i partigiani, che infatti non erano solo garibaldini, ma anche osovani, non solo comunisti ma anche cattolici, liberali…
Purtroppo però penso che ci sia interesse a far apparire il 25 aprile come una festa esclusivamente di sinistra sia nella stessa sinistra, per riappropriarsene, che a destra, per liberarsene, per acchiappare il voto della destra nostalgica o evitare imbarazzanti paralleli con l’oggi.
La questione dell’oggi secondo me è la più spinosa. Cosa deve fare un discorso, il 25 aprile? Ricordare cos’è stato, o commentare cos’è ora? Io mi riconosco completamente nella festa della Liberazione, ma quando sento i discorsi di politici e sindacati, su crisi, austerità, lavoro, e chi più ne ha più ne metta, penso: ma cosa c’entra? Queste questioni quella volta non si presentavano nemmeno, oppure si presentavano in maniera molto diversa, e io che condivido gli ideali della Resistenza non condivido i commenti che nel 2012 vi si appiccicano. Forse si parla di adesso per impedire alla festa di invecchiare. Ma allora qualsiasi discorso va bene? O non è forse la possibilità stessa di farli, questi discorsi, che va celebrata? E come? Non è facile.
Il punto è che la gente in piazza non ascolta gli storici, ascolta i politici. E i politici vogliono applausi, quindi non perdono tempo con analisi. Io che detesto ogni retorica, oggi in piazza ho applaudito malvolentieri. Sto meglio sui libri e negli archivi, a studiarmi la complessità degli eventi, commossa, rattristata, gioiosa, curiosa, attenta alle trappole delle semplificazioni, spaventata all’idea che ci sia ancora chi non vuole capire.
Queste mie opinioni si basano principalmente su quanto ho visto e sentito a Udine oggi, in una luminosa giornata di grandi celebrazioni. D’altronde, non solo Udine è medaglia d’oro al valore militare, ma l’intero Friuli Venezia Giulia (l’unica regione, a quanto so, in Italia, e non so se sia giusto fare diversi gradi di riconoscimento, e comunque io non c’ero e non ho merito, ma lo stesso mi sento mio malgrado inorgoglita).
Io penso davvero che il 25 aprile sia la festa di tutti, tranne che dei fascisti che purtoppo ci sono ancora, e che preferirei trovassero un’altra espressione per i loro ideali di destra e il loro bisogno di appartenenza, un’espressione che non implicasse la violenza contro chi non la pensa come loro – perché il fascismo in sostanza è soprattutto questo, è prevaricazione, e per questo non possiamo accettarlo mai.
Penso che un discorso ruffiano (per la sinistra) come quello del nostro sindaco Honsell non vada bene per il 25 aprile, perché la lista delle sue personali prese di posizione su questioni complesse (dalla globalizzazione all’acqua, dal lavoro al governo presente e quello scorso) rischia di dividere più che unire e di offrire il pretesto a chi, come il sindaco di Cividale, vuole festeggiare questo giorno per conto suo.
Penso che non vada bene festeggiare il 25 aprile separati, ma neanche fischiare, com’è successo, il suddetto sindaco quando capisce l’errore o almeno mostra di farlo, e si presenta a Udine a parlare di Resistenza. Infatti un vecchio partigiano ha sgridato questi contestatori, dicendo che lui ha rischiato la vita perché tutti potessero parlare liberamente.
(Tranne i fascisti, ovviamente. Se la tolleranza non è reciproca, non può esistere).
È stato veramente bello oggi lo spettacolo di un giovane coro che cantava i canti partigiani; purtroppo guardandomi attorno e vedendo quasi solo sinistra ho capito che questa festa è sentita da una parte del paese, non da tutti. E mi dispiace. Non c’erano anche i preti, al fianco dei combattenti? Non sono morti anche loro? Non c’erano anche i liberali, i cattolici, la gente di tutti i tipi, i patrioti?
Curioso: la Polverini non va al 25 aprile per paura di disordini, ma dice che dovrebbe essere una festa di tutti gli italiani, e il presidente dell’ANPI sostiene che se fosse venuta non ci sarebbero stati problemi e che i centri sociali devono capire che “questa è una manifestazione di festa e di popolo.”
Questo episodio mi confonde. Chi è fascista e chi no? Chi può partecipare e chi no?
I fascisti sono costretti a nascondersi, perché (giustamente, lo ribadisco) la nostra democrazia non li accetta. Eppure ci sono, e intrattengono rapporti con molti rappresentanti delle istituzioni. Quindi l’Italia a ogni 25 aprile si trova divisa. Quindi molti sono ipocriti e hanno due facce.
La storia è complessa, le complicità e le ambiguità, nonché le scelte difficili se non impossibili, rendono la memoria della Resistenza difficile da celebrare e allo stesso tempo un momento straordinario. Adesso Napolitano si è messo in testa di andare a fare visita a Porzus. Speriamo bene. Non voglio caricare questo tipo di gesti di significati eccessivi; Porzus però è simbolo di divisione, e la Resistenza è stato un momento di unione, come il nostro paese non ne ha più vista.
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