Vergnani fa muovere questi suoi particolari vampiri (che nulla hanno a che fare con gli odierni “personaggi twilightiani”) tra le maglie di un romanzo piuttosto corposo. Sono esseri fastidiosi, letali, di cui è necessario sbarazzarsi in tutti i modi… ma che, di conseguenza, da cacciatori diventano cacciati.
Mostri e vittime, al tempo stesso.
“Pensavamo di aver smesso di uccidere i vampiri, ma abbiamo ricominciato a farlo. Ora che è accaduto quel che è accaduto, è quasi un mestiere.
Non devi più nasconderti per cacciarli.
Sono reietti, emarginati, abbandonati dai loro stessi Maestri.
Le retrovie di un esercito allo sbando.
Non c’e’ posto per loro. Ma nemmeno per noi. E la loro presenza giustifica in qualche modo la nostra.
La loro mancanza di un futuro si intreccia con la consapevolezza della nostra quotidianità di speranza, e le loro azioni prive di un fine si sovrappongono al nostro gesticolare che e’ ormai soltanto uno stanco, sfiduciato reagire senz’anima.
Loro e noi.
I vampiri e i cacciatori.
Una battaglia senza onore né gloria tra disperati, dove in mezzo stanno le prede innocenti. E forse c’è più colpa in noi, che possiamo scegliere, che in loro, schiavi di una sete che non possono spegnere.
Loro sono assassini nati, noi l’estrema difesa, sempre sull’orlo dello sfascio. Ma in qualche modo ambiguo e discorde, nell’inconsapevolezza innocente dei semplici, siamo anche il fioco brillare di una speranza di un imprevedibile, brevissimo, insperato momento di giustizia”.
- Claudio Vergnani, da dove trae origine il tuo interesse per la letteratura vampirica?
Sono sempre stato un lettore onnivoro, quindi anche la letteratura horror fa parte del mio bagaglio letterario. Quella del vampiro è una figura classica, con una storia infinitamente più corposa e – direi – sfaccettata di quella, ad esempio, del licantropo o dello zombie. La letteratura e casistica vampirica sono sterminate, e profondamente indagate, difficile quindi non entrare nella sua orbita. Da Stoker, da Polidori a Carpenter a King a Steakley. Una cavalcata affascinante, tutt’altro che terminata, peraltro.
- Perché la figura del vampiro è così prepotentemente entrata a far parte nell’immaginario collettivo mondiale?
Ragioni storiche, innanzitutto. Poi ragioni legate e a credenze e superstizioni ancora vive. Infine per motivi letterari e cinematografici.
- Il sentimento suscitato dal vampiro è più vicino alla paura o al fascino? E perché?
Personalmente avverto più timore che attrazione, poi, naturalmente, è il mix delle due emozioni a creare la sua forza. Nelle parole “bacio oscuro” – l’atto con cui un vampiro trasforma un essere umano in un altro vampiro – c’è tutta la valenza erotica e violenta della sua figura.
- C’è un libro e/o un autore della letteratura gotica che consideri come punto di riferimento?
No. Nei miei romanzi i riferimenti letterari non provengono dall’horror. L’horror letterario viene a volte citato dai miei personaggi, ma sempre con ironia e distacco.
- “Il 36° giusto” arriva in libreria dopo l’esordio con “Il 18° vampiro”. Sei soddisfatto per i riscontri di cui ha beneficiato il primo libro?
Sì, perché è stato colto il mix di horror/ironia/riflessione che era alla base dell’impianto narrativo. Qualcuno ha anche rilevato che lo sfondo vampirico – anche se essenziale e robusto – era uno sfondo funzionale a dire altro. Una sorta di “donna dello schermo” dantesca, se mi si passa l’ironia. La forza del libro, d’altro canto, è quella di interessare anche i lettori più smaliziati ed eterogenei. Che era poi l’obbiettivo principale.
- Cosa ti aspetti per questo secondo volume?
Di essere letto con piacere e divertimento.
- Ci sarà un terzo libro? Forse una serie di libri… ?
Il terzo e conclusivo libro della trilogia è già in cantiere. Vedremo.
- In cosa “Il 36° giusto” si differenzia da “Il 18° vampiro”?
Essenzialmente nella struttura narrativa priva di flash back e più lineare. La storia è meno complessa e più immediata. E’ anche un romanzo più triste, pur chiudendosi con una nota di speranza.
- I tuoi vampiri succhiano sangue per necessità. La loro malvagità è legata alla condizione in cui si trovano e non al mero piacere di compiere il male. E però finiscono, inevitabilmente, con l’essere cacciati… uccisi. Potrebbero considerarsi, in tal senso, vittime? E fino a che punto?
Sono vittime in tutto e per tutto. Lo sono due volte: quando vengono aggrediti e trasformati, poi quando vengono cacciati. La loro malvagità, il loro sadismo derivano in ogni caso dalla loro condizione, che non hanno scelto.
- A tuo avviso, in questi tuoi libri, è possibile trovare un “riflesso” dei mali e dei disagi della nostra società?
E’ impossibile non trovarlo.
- In generale: l’horror può esercitare una funzione “esorcizzante” delle paure legate alla quotidianità e alla vita reale?
Non lo so. Altri più informati e competenti di me ne hanno parlato più e più volte. Per quel che mi riguarda, credo che difficilmente una paura reale si esorcizzi leggendo un libro. Se così fosse leggeremmo tutti di più e meglio. O chi legge molto si affrancherebbe dalle proprie paure. Può essere che determinate opere horror stimolino una funzione catartica, ma non lo credo. Temo sia solo uno dei tanti luoghi comuni. Leggendo un libro ci si informa, si apprende, ci si diverte, ci si confronta. Ma le nostre paure rimangono lì dove sono, ben radicate dentro di noi.
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