L'avevo scritto sabato che sta storia del "3D è una puttanata" sarebbe potuta diventare una rubrica. Così oggi un amico mi ha servito su un piatto d'argento la puntata numero 3, e soprattutto un supporto autorevole e pure tecnico. L'occasione la offre l'uscita on line del secondo numero di Filmidee (ah già, dimenticavo: è on line il secondo numero di Filmidee!), che tra le tante e belle cose pubblicate presenta pure una lettera del montatore e sound designer
Walter Murch al famoso critico americano
Roger Ebert, scritta dopo aver letto la recensione di
Green Hornet, l'incolore blockbuster di Gondry dedicato all'ennesimo e inutile supereroe fumettaro e postmoderno.
Murch, che viene da lontano, che forse non è proprio un giovane avanguardista ma è un grande esperto che ha lavorato per Lucas e Coppola dagli anni '70 fino a oggi, fornisce alcune spiegazioni tecniche a proposito dell'inconsistenza del 3D, parlando del funzionamento pratico sia della macchina-cinema sia dell'occhio umano, oltre ad argomentare la cosa più scontata e vera di tutte, e cioè che il 3D fa venire mal di testa (specie, aggiungo io, a quelli che portano gli occhiali, porcavacca): lui lo spiega in termini fisiologici e percettivi, io mi limito a imprecare. Verso la fine della lettera, poi, scrive la cosa fondamentale, che riguarda la questione dell'immersione in un film:
"I film in 3D ricordano allo spettatore che si trova in una certa relazione “prospettica” con l'immagine. È quasi una questione brechtiana. Mentre, quando la storia di un film conquista il pubblico presente, la platea finisce per trovarsi 'nel' film, in una sorta di spazio onirico 'senza confini'. Una buona storia, quindi, procurerà all'immagine sempre più dimensionalità di quanto siano capaci di farlo gli effetti tecnici".
Ecco sì, insomma, non c'è molto da aggiungere. Leggetevi per intero la lettera e poi diffondete il messaggio: "no, non ne vale la pena".