Con l’aggravarsi della crisi, sia negli Usa che in Europa ha prevalso l’idea di coinvolgere gli investitori privati nei salvataggi per non far ricadere l’intero costo dei default bancari sulle spalle dei contribuenti.
Lo strumento del bail-in è contenuto all’interno della direttiva europea BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che armonizza le regole per la prevenzione e la gestione delle crisi bancarie a livello europeo. In Italia entrerà in vigore a partire dal primo gennaio 2016.
Di fronte al dissesto di una banca che non si può risolvere in tempi brevi e che crea un rischio per tutto il sistema bancario, la Banca D’Italia potrà intervenire in vari modi:
- la vendita di una parte dell’attivo della banca
- il trasferimento temporaneo a una “bridge bank” di attività e passività: si tratta di un modo di mandare avanti le funzioni aziendali più importanti in modo da preparare una cessione sul mercato
- il trasferimento delle attività deteriorate a una “bad bank” per la liquidazione
- il bail-in (salvataggio interno).
Ed è proprio questo salvataggio interno a mettere in allarme i risparmiatori perché prevede la svalutazione di azioni e crediti, e la loro conversione in azioni con l’obiettivo di recuperare le perdite e ricapitalizzare l’istituto di credito.
Il sistema del bail-in è costruito in modo che i primi a partecipare alla ricapitalizzazione siano quelli che hanno investito in strumenti finanziari ad alto rischio. Riassumendo, a farsi carico delle perdite saranno in ordine:
- gli azionisti
- gli obbligazionisti
- i correntisti (solo sulla parte dei depositi che supera i 100mila euro)
- un fondo di garanzia, finanziato dalle banche.
Ci sono delle passività escluse dalla partecipazione al salvataggio interno:
- depositi fino a 100mila euro
- covered bonds (e altre passività e strumenti garantiti)
- contenuti delle cassette di sicurezza o titoli detenuti in un conto apposito
- passività interbancarie con durata originaria inferiore a 7 giorni
- passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento (con una durata residua di meno di 7 giorni)
- debiti verso dipendenti, debiti commerciali e debiti fiscali (se privilegiati dalla normativa fallimentare).
Il principio cardine della direttiva sul bail-in, secondo quanto dichiarato dal ministro dell’economia Padoan è che “gli azionisti e i creditori interessati non debbano subire perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l’ente fosse stato liquidato nel momento in cui è stata decisa la risoluzione della crisi, nel rispetto dei principi della carta dei diritti fondamentali della Ue”.
Che fare quindi per tutelarsi? Non tutti i risparmiatori avranno tempo e competenze per leggere i bilanci della propria banca, ma qualche precauzione può essere presa da tutti. Per esempio, un indicatore divenuto importante per rilevare lo “stato di salute” di un istituto bancario è il Common equity tier 1 (Cet1), indicatore che mette in rapporto il patrimonio netto della banca (capitale sociale più riserve) ai rischi assunti, ovvero si misura il totale delle attività ponderate per il rischio.
Più questo indicatore è elevato, maggiore dovrebbe essere la solidità dell’istituto, ovvero la capacità di affrontare eventuali scenari negativi. In generale un livello sotto il 10% non è considerato sufficiente, e sotto l’8% è assolutamente a rischio.