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“Il banchetto al tempo di San Francesco”: il ricettario

Creato il 24 settembre 2015 da Ambrogio Ponzi @lucecolore
“Il banchetto al tempo di San Francesco”: il ricettario
La festa vedrà la collaborazione dell’Istituto alberghiero “Magnaghi” di Salsomaggiore.  “I ragazzi dell’Istituto saranno protagonisti di due momenti: uno tecnico turistico per quanto riguarda l’itinerario francescano e uno enogastronomico legato alla tradizione medievale, con ricette, usi e costumi del tempo e uno studio legato alle vivande, spezie e bevande”, ha spiegato Luciana Rabaiotti, dirigente dell’Istituto “Magnaghi” di Salsomaggiore Terme.
Nell'occasione sabato 26 settembre a Fidenza - Centro storico alle Ore 19.30
l'evento "Il Medioevo a tavola" una cena medievale presso i ristoratori aderenti. “Il banchetto al tempo di San Francesco”: il ricettario

BREVE INTRODUZIONE ALLA CUCINA MEDIEVALE estratto da “Il banchetto al tempo di San Francesco” di   B. Agosti - M. Pacini - C. Zoni  Istituto alberghiero G.Magnaghi di Salsomaggiore Terme
Le ricette, come anticipato, non erano codificate, almeno nell’accezione odierna del termine, si può asserire che nel Medioevo non esistesse una cucina tradizionale e il cuoco facesse sempre una cucina creativa, tanto che il dosaggio degli ingredienti per un’analoga pietanza variava liberamente in dipendenza dal gusto del padrone di casa e dei suoi ospiti.  Non solo la cucina medievale rispondeva ad un’idea di sintesi, di fusione tra i sapori, ma anche all'interno del pasto il servizio delle vivande rispondeva ad un’analoga logica riassuntiva. Si tendeva, infatti, a presentare le vivande di uno stesso servizio simultaneamente, lasciando libero il commensale di servirsi a suo piacere tra le varie proposte. Anche l’ordine delle portate non seguiva la nostra rigorosa sequenza, anche se i piatti più leggeri di solito precedevano quelli pesanti, in quanto preparavano lo stomaco ad accogliere le portate più impegnative. Anche noi oggi, nella formulazione di un menu, facciamo precedere i piatti più delicati a quelli dal sapore più forte, perché i gusti intensi non distorcano i sentori più blandi, in ottemperanza alla valorizzazione del singolo ingrediente perseguita dalla nostra cucina analitica. 
Le spezie Per quanto concerne i gusti vi era una decisa prevalenza delle note aspre e di quelle dolci che si controbilanciavano nelle preparazioni. Su tutto prevaleva il sentore penetrante delle spezie. L’agrodolce, oltre che a rispondere ad una predilezione alimentare, contrastava l’annoso problema del mantenimento del cibo, grazie a conservanti naturali quali gli zuccheri e l’aceto. Il grande uso delle salse speziate che connotava la cucina medievale era funzionale alla ricerca della sintesi gastronomica, come sostiene Montanari, inoltre assolveva al duplice compito di generare un sapore dominante, camuffando il gusto del singolo ingrediente, e di abbellire la tavola con dei veri e propri trionfi di colori. A lungo è stato sostenuto che le spezie venissero adoperate per coprire i cattivi sapori legati alla difficoltà di conservazione degli alimenti e delle carni in particolare. Questo può essere in parte vero per contrastare il sentore di selvatico, la carne proveniva infatti da allevamenti bradi quando non addirittura da cacciagione, ma il Signore disponeva largamente di carne fresca, ne mangiava persino troppa, vista la diffusione della gotta legata all’eccessivo consumo di proteine animali.  Per giustificare, però, la duratura fortuna della spezia nei secoli, non dobbiamo dimenticarne l’effettiva gradevolezza e le proprietà medicamentose che le venivano attribuite, in parte riconosciute anche oggi. Il profilo culinario del periodo non è facilmente tracciabile a motivo dell’abitudine del tempo a non fornire dosi precise e della difficoltà di reperire ricettari non rivisitati nelle epoche successive.  E’ possibile comunque individuare alcuni elementi di fondo rispetto alle abitudini gastronomiche del periodo da cui si comprende che il menu medievale rispondeva a criteri molto diversi rispetto ai nostri. Per quanto riguarda l’orientamento dominante, la creazione di piatti era orientata verso un solo gusto riassuntivo di contrasti, neppure le portate seguivano la scansione a cui oggi siamo abituati. Non dimentichiamo, poi, l’uso massiccio di spezie e latte di mandorla, attualmente molto più contenuto. 
L'aperitivo I banchetti si aprivano spesso con vini dolci aromatizzati e con frutta di stagione entrambi con funzione di “aperitivo”, cioè di “aprire” lo stomaco al consumo delle successive vivande. Né, d’altra parte, i sapori conoscevano la rigida separazione contemporanea, ad esempio il dolce e il salato potevano convivere tranquillamente nella stessa preparazione . 
Le bevande Il vino: Il vino nel Medioevo non era un complemento della tavola, ma un vero e proprio alimento di cui si faceva comune uso anche se, spesso, veniva consumato annacquato sia per ragioni di costo, sia per sanificare l’acqua che allora rappresentava gravi problemi di potabilità. D’altra parte l’uso di vino o di aceto per rendere più sicura l’acqua da bere risale alla notte dei tempi. 
Ippocrasso e chiaretto: Un posto di primo piano spettava all’ippocrasso e al chiaretto, preparazioni sostanzialmente identiche, ma che avevano come base rispettivamente il vino rosso e il vino bianco. Se per la denominazione “chiaretto” sicuramente il riferimento è al vino bianco con cui si preparava, e che piaceva di più se limpido, “ippocrasso” è nome ben meno esplicito. Pare che sia stato coniato in omaggio ad Ippocrate da Kos, padre della medicina, per avvalorarne le proprietà terapeutiche. Si trattava di vini aromatici addolciti con zucchero di canna o con miele, non di acacia che arrivò in Europa solo nel 1600, e insaporiti con varie spezie, tra cui, immancabili, la cannella e lo zenzero. Ancora una volta, le spezie rendevano queste bevande costose: gli umili dovevano accontentarsi di un “ vino” di seconda o addirittura di terza spremitura.
L'acqua: Nel Medioevo non era certo un fatto scontato che l’acqua fosse “chiara e fresca” ovvero sicura dal punto di vista igienico, anzi, essa, pur nella sua riconosciuta insostituibilità, era uno dei veicoli delle malattie e delle terribili epidemie che funesteranno l’umanità ancora per secoli. 
Il latte di mandorla: Nel Medioevo il latte di mandorla dolce3 rivestiva un’importanza oggi difficilmente immaginabile. Esso era forse più ingrediente della cucina che bevanda e tra gli ingredienti uno dei più apprezzati. La stessa mandorla da cui derivava aveva molteplici usi: materia prima per la preparazione della prelibata pasta di mandorle, seme da cui ricavare olio, frutto, ma anche base di preparazioni salate e legante per salse. E’ proprio il caso di dire che la “mandorla era in tutte le salse!” La fortuna di questo latte era legata, oltre che alla sua disponibilità, anche al fatto che non fosse solo un valido surrogato del latte animale come detto in precedenza, ma persino delle uova durante i tanti “iorni di magro” decretati dalla Chiesa a cui la cucina medievale era intimamente connessa. 
I dolci Confetti di spezie: Al termine del banchetto medievale venivano comunemente serviti dei confetti di zucchero che contenevano spezie, come cannella, zenzero, cardamomo o semi di finocchio.  I confetti furono, come la torta, un'invenzione medievale nata in ambito farmaceutico e passata successivamente a quello gastronomico.
La Spongata: Ancora qualche secolo dopo, la spongata faceva lunghi viaggi per assolvere al compito di dono di scambio tra potenti, tanto da essere conosciuta anche come “dolce diplomatico”. 
Il pane Come saranno stati i pani del miracolo francescano? Sicuramente di grande formato e scuri per la presenza nell’impasto di farina di grano integrale e magari di vari altri cereali considerati meno nobili. Forse tra gli ingredienti vi era anche la farina di castagna4 o di qualche legume, insomma era al pane dei ceti umili che il Poverello di Assisi sicuramente pensava nel compiere il miracolo per quella comunità di frati minori che viveva così pienamente gli ideali evangelici.  Ben diverso era, invece, il pane del desco aristocratico: pane piccolo5 e bianco, fatto con la miglior farina di purissimo frumento: “fior di farina”, come “fior di vino” era quello ricavato dal mosto e non dalle vinacce lavorate con l’acqua. Certo non dobbiamo immaginare un pane bianco come quello oggi in commercio, perché certamente le tecniche di raffinazione erano meno avanzate delle nostre, ma ritenere il pane di quel periodo sempre e comunque cotto in grosse forme e rigorosamente scuro non è corretto. La fetta ricavata da pani di grossa pezzatura esisteva anche sulle tavole signorili, ma la sua funzione era principalmente quella di vassoio su cui posare le vivande. Essa poteva essere all'occorrenza mangiata, per lo più intinta nelle varie salse servite con gli arrosti e talvolta elargita alla servitù. 
La torta Il pastello, il nome fa riferimento appunto all’involucro di pasta, era sinonimo di torta, sia dolce che salata, allora naturalmente non vi era la separazione tra piatti dolci e salati.  I pastelli non erano tutti ugualmente “preziosi”: se nella cucina nobile la pietanza abbondava come di consueto di spezie e carni di ogni tipo, è il caso della “Torta Parmesana”, in quella plebea l’involucro finiva per racchiudere tutti gli avanzi dei pasti precedenti. Il nome “Torta Parmesana” probabilmente si riferisce ad una preparazione particolarmente diffusa nell’area padana; dove infatti la stessa tecnica di cottura in “torta” ha ragionevolmente avuto origine, visto che le varie paste ripiene tipiche dei nostri luoghi si chiamano spesso “tortelli”.  Pastelli, oggi si parla anche di pasticcio, erano utilizzati, non solo come recipiente di cottura, ma come ero e proprio involucro in cui conservare cibi cotti. 
Le carni Le carni erano il fulcro del banchetto nobile e uno dei lasciti più vistosi della tradizione germanica che proprio nella Pianura Padana si era in larga misura sovrapposta a quella latina.  I Romani del tempo dei Cesari, infatti, avevano notato l’alimentazione quasi esclusivamente carnea dei popoli del nord e consideravano ciò sinonimo di civiltà inferiore. D’altra parte essi potevano disporre di olio, vino, cereali e di ogni delizia locale ed esotica grazie ai commerci che si svolgevano all’interno del vastissimo impero  Tra le carni, un ruolo di primo piano spettava al maiale, che restò per tutto il Medioevo la prelibatezza gastronomica per eccellenza, allevato brado assunse nel nostro territorio un’importanza sempre crescente, testimoniata oggi dagli eccelsi salumi tipici dell’area padana.  Se il consumatore contemporaneo preferisce, non fosse altro che per ragioni salutistiche, consumare carni magre, nel Medioevo erano le carni grasse quelle più pregiate.  Le ricette relative alla preparazione di piatti di carne dell’epoca dimostrano ancora una volta la felice commistione tra dolce e salato in voga nel periodo, prevedendo nei ripieni spesso vari frutti, come la castagna, i fichi secchi, l’uva passa e fresca o le prugne, fatto di cui restano numerose tracce nella cucina regionale italiana  Le tecniche di cottura preferite erano lo spiedo per i grandi tagli e la griglia per i pezzi più piccoli, insomma si tratta di cotture a fuoco vivo come avveniva presso gli avi del Signore vissuti nell’Alto Medioevo, guerrieri e soldati a cui forse nella società mercantile del XIII secolo si guardava con ammirazione. Il bollito era in genere riservato alle classi povere, se non altro perché consentiva di non sprecare nulla e di valorizzare il brodo che assolveva al non secondario compito di saziare. 
“Il banchetto al tempo di San Francesco”: il ricettario

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