Il Bar Baleta: Tariffa night

Creato il 16 giugno 2014 da Enricobo2

Leen e il sax - (gent. concessione di Gino "Baleta" Gemme)


Gino, tra i suoi straordinari disegni che continua a regalarci, nel "nostro" gruppo di FB di nostalgici frequentatori del bar, ha postato questo, qualche giorno fa. Così a poco a poco è riemersa una storia che mi ero completamente dimenticato. Il bar ad una certa ora, dopo la mezzanotte, perdeva i clienti meno motivati; i turisti poi, rari per la verità, erano presenti solo di giorno ed a quell'ora se ne erano andati già da un pezzo. Rimanevano solo gli aficionados, i giocatori di carte incalliti che volevano fare l'ultima mano e i tiratardi cronici. Gino cominciava a dare una rassettata, e proclamava ad alta voce la cosiddetta "tariffa nigth" che voleva essere un po' un avviso ai naviganti che se si cominciava a sgomberare, non era poi una gran brutta cosa. Ma dopo l'ora delle streghe, accadevano a volte cose strane in quel bar, mentre qualche vecchio avventore terminava le discussioni più accanite sul nulla, attorno ai tavoli della sala col bancone, intanto che le altre, ad una ad una si facevano deserte e si spegnevano le luci. Ci fu un periodo in cui, verso quell'ora, cominciò ad apparire un tipo strano, assolutamente fuori contesto per il locale e per la stessa città, ancora non abituata a presenze estranee. 
Qualche via più in là infatti, era da tempo aperto un locale, il Dollar Club, quello che un tempo si chiamava appunto il Night club, luogo che non era chiaro da chi fosse frequentato, dato che in una cittadina di provincia ci si conosce tutti e si sa tutto di tutti, salvo che si favoleggiava di signorine poco vestite che assistevano gli avventori e cose di questo genere, insomma le famigerate entraineuses. Un luogo di peccato che per la verità nessuno ha mai capito come facesse a campare, tanto è vero che apriva e chiudeva continuamente. Il locale per peccatori apriva dopo mezzanotte ovviamente e Leen che lavorava lì, passava da Baleta prima di cominciare il lavoro, insomma per bere qualcosa tanto per farsi la bocca. Era un nero, anzi a quel tempo si diceva proprio negro; veniva da Trinidad e di mestiere faceva il musicista. Suonava appunto al Dollar, poteva avere un cinquantina di anni, con quelle facce un po' segnate dalla vita, lo sguardo disilluso, ma con la bocca sempre atteggiata ad un sorridere stanco. Solo gli occhi forse erano tristi. Aveva occhiali pesanti cerchiati di tartaruga, si sedeva un po' appartato in un angolo a bere un rum, aspettando che venisse l'ora di andare ad allietare con la sua musica qualche vecchio viveur che aveva altro per la testa che prestare attenzione alle sue note. Per la verità non lo si sentiva mai parlare ad alta voce, un mansueto insomma, come tutti quei musicisti abituati dalla vita a saltare i pasti. Divenne una figura costante nel bar e come tale dopo un po' fu accettato come uno degli altri, tanto che nessuno ci faceva più caso. Anzi anche lui dopo un po' ebbe il suo bravo diritto di "segnare" le consumazioni sul famigerato libretto di Gino. 
Un giorno, passò al bar di mattina, prese Gino da parte e gli spiegò che doveva partire, non aveva un soldo, figuriamoci per saldare il conto, forse al night neanche lo avevano pagato, però lui non se l'era sentita di filarsela all'inglese, come si diceva allora "in punta di piedi". Volle a tutti i costi lasciare a Gino in pegno un flauto, il suo secondo strumento, promettendo che sarebbe ritornato a regolare, poi scomparve. Gino, che nonostante i nostri rimproveri e le prese in giro, ha un gran cuore, rimase quasi ossessionato da quel fatto. Il topo morto stava lì in un cassetto, oltre che sul suo stomaco e come lui stesso ha detto, ogni volta che lo apriva, "si sentiva come un negriero, un padrone di casa sfruttatore di disgraziati". Due anni dopo, inaspettato, Leed ricomparve sulla porta del bar, accolto come un amico che arriva da lontano. Voleva pagare il suo debito, ma Gino rifiutò e concesse la cosiddetta grazia e benedizione. Leen fu sorpreso naturalmente e forse capì di trovarsi tra amici. Senza dire nulla, estrasse dalla custodia, che portava sempre con sé, il suo sax e appoggiò sui tasti le sue grosse dita. Tre note morbide e calde come il rum del suo paese quando il primo sorso comincia a scorrere in gola e attaccò I walk alone uno dei pezzi preferiti da Gino. Quelli che erano lì, rimasero muti ad ascoltare quello che voleva essere un suo gesto di ringraziamento. Finito il pezzo, riavvolse lo strumento ed uscì dalla porta con un gesto della mano. Non si vide più da quelle parti.

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