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Il baratro fiscale dell'agenda Monti (di Luciano Gallino)

Creato il 09 gennaio 2013 da Tafanus

Il baratro fiscale dell'agenda Monti (di Luciano Gallino)In premessa alla pubblicazione del devastante articolo di Luciano Gallino sull'agenda Monti (di cui avevo ieri raccomandato la lettura), non resisto alla tentazione di riportare due paragrafetti di un mio post scritto in tempi nmon sospetti, e cioè il 5 giugno 2012, quando moltissimi, in Italia, all'estero e nel sistema solare, tessevano le lodi del Prof. Monti (che anch'io ho lodato per almeno 30 giorni dall'entrata in carica). Ecco cosa scrivevo:

[...] Si può intanto fermare l'orrendo meccanismo del "fiscal compact", sul quale ha calato le braghe il governo Tremonti-Berlusconi, ma che è stato avallato anche da Monti, seppur in stato di necessità. Per memoria: il fiscal compact impone un deficit massimo dello 0,5%, e per i paesi che superano il 60% di indebitamento, prevede che il debito sia ridotto di un ventesimo all'anno. Per capirci: il rientro nel 60% costerebbe alla Germania un sacrificio di 1,1 punti di Pil all'anno. Costerebbe all'Italia un insostenibile costo di 3,25 punti di PIL all'anno. Consolidando i parametri del fiscal compact e il costo del debito, la Germania se la caverebbe con un costo di 1,5 punti di PIL all'anno, l'Italia dovrebbe sostenere un costo di 8/9 punti di PIL all'anno. Una differenza che scaverebbe un solco profondo quanto un baratro fra le due economie, destinato a non colmarsi mai più. Un costo, oltretutto, assolutamente non sostenibile.
C'è un patto in tal senso? No, non c'è un patto. C'è una proposta di patto, che potrebbe diventare legge comunitaria entro il 31 dicembre, ma solo a condizione che entro quella data il fiscal compact venga ratificato da almeno 12 paesi dell'area euro. Spero ardentemente che con ci siano, in Europa, 12 paesi con una spiccata vocazione al suicidio. Perchè se Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia piangono, non è che la Francia, l'Olanda, il Belgio stiano molto meglio. Questa follia del fiscal compact, la peggior legge pro-ciclica mai pensata da mente umana, deve ad ogni costo essere fermata [...]

Ed ecco cosa ha scritto ieri Luciano Gallino:

Non ci sono solo gli Stati Uniti. Anche l'Italia ha il suo baratro fiscale, come quello Usa di natura politica prima che economica. L'agenda Monti vi dedica ampio spazio, sebbene usi altri termini. In realtà il baratro l'ha aperto il Parlamento quando ha ratificato mesi fa - su proposta del governo Monti - il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento ecc. imposto da Consiglio europeo, Commissione e Bce.

L'art. 4 prescrive : "Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore.. del 60%... tale parte contraente opera una riduzionea un ritmo medio di un ventesimo all'anno". Il Trattato è già in vigore, ma in base a un precedente regolamento del Consiglio, l'inizio della riduzione del debito verso la meta del 60 per cento dovrebbe aver luogo solo dal 2015.

L'agenda Monti riprende quasi alla lettera tale prescrizione (punto 2, comma c). Si tratta a ben guardare del tema più importante sia della campagna elettorale che dell'azione del prossimo governo, quale esso sia. Il motivo dovrebbe esser chiaro. Ridurre davvero il nostro debito pubblico nella misura e nei tempi richiesti dal Trattato in questione è un'operazione che così come si presenta oggi ha soltanto due sbocchi: una generazione o due di miseria per l'intero Paese; aspri conflitti sociali; discesa definitiva della nostra economia in serie D. Oppure la constatazione che il debito ha raggiunto un livello tale da essere semplicemente impagabile, per la ragione che esso deriva sin dagli anni '60 non da un eccesso di spesa, bensì dalla accumulazione di interessi troppo alti.

Quindi si dovrebbero trovare altre strade rispetto alle politiche attuate da Monti e riproposte dalla sua agenda.

Al fine di ripagare un debito a lunga scadenza in rate annuali è infatti essenziale una condizione: che il debitore, al netto di quanto spende per il proprio sostentamento, abbia ogni anno delle entrate, per tutta la durata prevista, che siano almeno pari in media a quella di ciascuna rata del debito. Nel caso del debito pubblico italiano tale condizione base non esiste. Il Pil supera i 1650 miliardi, per cui il 60 per cento di esso ne vale circa 1000.

Mentre il debito accumulato ha superato i 2000. Al fine di farlo scendere al 60 per cento del Pil come prescrive il Trattato, si dovrebbe quindi ridurre il debito di 50 miliardi l'anno per un ventennio. La cifra è di per sé paurosa, tale da immiserire tre quarti della popolazione . Ma il problema non è solo questo. È che l'interesse sul debito, al tasso medio del 4 per cento, comporta una spesa di 80 miliardi l'anno, la quale si somma ogni anno al debito pregresso. Ne segue che quest'ultimo non smette di crescere. Ora, se riduco il debito di 50 miliardi, avrò sì risparmiato 2 miliardi di interessi; però sui restanti 1950 miliardi dovrò pur sempre pagarne 78. Risultato: il debito è salito a 2028 miliardi (2000-50+78). L'anno dopo taglio il debito di altri 50 miliardi e gli interessi di 2. Però devo pagarne 76, per cui il debito risulterà salito a 2054. Chi vuole può continuare.Magari inserendo nel calcoletto un dettaglio: l'art. 4 del Trattato prescinde del fatto che il debito di un paese potrebbe col tempo aumentare di molto, per cui l'entità del ventesimo di rientro andrebbe alle stelle.

L'Italia, per dire, potrebbe ritrovarsi a fine 2015 con un Pil di poco superiore all'attuale, ma con un debito che a causa dell'accumulo degli interessi ha raggiunto i 2200 miliardi. Così i miliardi annui da tagliare passerebbero da 50 a 60.

Le obiezioni da opporre a quanto rilevato sopra le sappiamo. Il raggiungimento di un discreto avanzo primario ha già permesso di ridurre la spesa degli interessi di 5 miliardi: lo ricorda anche l'agenda Monti. La riduzione del differenziale di rendimento a confronto dei titoli tedeschi permetterà altri risparmi. Dalla dismissione di grosse quote del patrimonio pubblico arriveranno fior di miliardi. Le spese dello Stato possono venire ridotte di parecchi altri punti; qualcuno parla addirittura di 5 punti per più anni, alla luce di una profonda teoria politica che si compendia col dire "bisogna affamare la bestia" (cioè lo Stato, cioè quasi tutti noi). Per finire con l'immancabile "a fine 2013 arriverà la crescita e il Pil riprenderà a salire".

Ciascuna delle suddette obiezioni o è fondata sull'acqua, come la previsione di ricavare alla svelta decine di miliardi dalla dismissione di beni pubblici - vedi la sorte delle cartolarizzazioni di Tremonti - oppure sull'accettazione per i prossimi venti o trent'anni di politiche lacrime e sangue, ancora peggiori di quelle che hanno afflitto gli ultimi anni all'insegna dell'austerità.

Naturalmente il problema non riguarda soltanto l'eventuale ritorno al governo di Monti con la sua agenda. Riguarda più ancorai partiti come Pde Sel, che le elezioni potrebbero pure vincerle, ma che hanno dichiarato di voler rispettare nell'insieme l'agenda in parola. Sono essi per primi a dover scegliere la strada per uscire dalle strettoie attuali. Da un lato si profila una grave regressione sociale e politica, oltre che economica, indotta dalla ricerca coattiva del mezzo per ripagare un debito ormai impagabile. Dall'altro bisogna riconoscere questa sgradevole realtà, e aprire con decisione una trattativa su scala europea per trovare modi meno iniqui socialmente per uscire dall'impasse del debito pubblico, il che non riguarda ovviamente solo l'Italia. Un riconoscimento al quale potrebbe seguire la ricerca dei modi per superare una contraddizione in verità non più tollerabile: una Bce che presta migliaia di miliardi alle banche (lo ha fatto, per citare un solo caso, tra novembre 2011 e febbraio 2012) all'1 per cento, ma non può fare altrettanto con gli stati.

Per cui questi vendono obbligazioni alle banche, sulle quali esse percepiscono interessi tripli o quadrupli. È vero, l'art. 123 del Trattato Ue vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli Stati. Ma a parte il fatto che prima o poi tale articolo dovrà essere modificato, posto che esso fa della Bce l'unica banca centrale al mondo che non può svolgere le funzioni proprie di una banca centrale, si dovrebbe d'urgenza porre rimedio a tale inaudita contraddizione. Con il baratro fiscale di mezzo, la riduzione del debito pubblico a meno della metà è inconcepibile. Ma se l'Italia, per dire, potesse prendere in prestito dalla Bce, in forma obbligazionaria o altra, 1000 miliardi al tasso dell'1 per cento, come han fatto le banche europee nel caso precitato, allora potrebbe diventarlo. Pensiamoci.

E magari proviamo a spiegare ai cittadini come si pone realmente per il prossimo futuro la questione del debito pubblico.


Luciano Gallino


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