Il Barcellona, un modello. D’autocrazia – Parte prima

Creato il 16 dicembre 2013 da Stefano Pagnozzi @StefPag82

Prima parte di un' interessante approfondimento di Pippo Russo, giornalista, sociologo e collaboratore di Supporters In Campo sul FC Barcellona  a sfate il mito del club etichettato come esempio di partecipazione democratica.
Tratto da: http://cercandoblivia.wordpress.com/2013/12/11/il-barcellona-un-modello-dautocrazia-parte-prima/
Un falso mito. Più da vicino si guarda il Barcellona, più si scopre quanta distanza sia necessaria per credere all’immagine stereotipa, politicamente corretta, del club etichettato come esempio di partecipazione democratica. Tutta propaganda, mescolata alla pigrizia mentale di chi prende per buono il racconto mainstream e rimasticandolo lo rafforza. Come se bastasse un numero di soci prossimo ai 200.000, o che quei quasi 200.000 eleggano a scadenze più o meno regolari il presidente del club, per assicurare alla comunità tifosa un controllo sulla governance e, in ultima analisi, un reale esercizio della propria responsabilità. É qui lo scarto fra propaganda e realtà: la platea democratica barcellonista è come il popolo delle primarie: un parco buoi da mobilitare nell’esaltante rito della selezione di leadership autocratiche e oligarchie autoreferenziali, e da lì in poi incapace di condizionare e arginare l’agire degli eletti.
Chi continua a spacciare il Barça come modello virtuoso di gestione societaria è disinformato o in malafede. La platea democratica di quasi 200.000 soci non ha impedito che il club blaugrana sia uno fra i più indebitati al mondo (con 334 milioni di de netto registrato nel 2013, cifra persino virtuosa rispetto ai 578 milioni del 20101), e che sia stato risucchiato nell’orbita di un fondo sovrano del Qatar. Alla faccia di chi continua a parlare di “simbolo della catalanità”. Soprattutto, l’esistenza di un (presunto) controllo democratico da parte della base dei soci non ha impedito che alla presidenza del club venissero eletti squali della finanza, e che come tali prendessero a agire usando il Barcellona per condurre affari opachi. L’ultima conferma di questo andazzo si è avuta con le notizie diffuse nei giorni scorsi, relativamente alla denuncia spiccata dal socio Jordi Cases nei confronti del presidente Sandro Rosell, eletto nel 2010. Motivo: il misterioso costo dell’acquisto di Neymar, realizzato la scorsa estate, e rispetto al quale balla uno scarto di 40 miliardi. Pinzillacchere, quisquilie.
Che quell’affare fosse pieno di misteri s’era capito immediatamente, e c’erano numerose condizioni di partenza a renderlo sospetto.
Innanzitutto il fatto che il calciatore provenisse dal Santos, club definitivamente colonizzato dai fondi d’investimento e incapace di fare qualsivoglia operazione di mercato senza il placet degli attori di quest’economia calcistica parallela.
In secondo luogo, il fatto che lo stesso calciatore fosse al centro d’una fitta rete di compartecipazione sui suoi diritti economici. Partendo dal cartellino di Neymar si potrebbe scrivere una ricca monografia in tema di finanza creativa. Il 40% dei diritti economici sul calciatore appartenevano (appartengono?) al fondo DIS, controllato dai fratelli Sonda, imprenditori della grande distribuzione nello stato di San Paolo2; un altro 5% era (è?) sotto il controllo di Terceira Estrela Investments S.A., meglio conosciuto come Teisa3, un fondo d’investimento costituito da tifosi vip del Santos che in un primo tempo aveva il solo intento di venire in aiuto al club in ristrettezze finanziarie, ma che immediatamente ha abbracciato logiche speculative con tanti saluti alla fede calcistica. Il restante 55% risultava appartenere al Santos.
Il terzo mistero riguarda il distinguo fra diritti economici e diritti federali. Che è materia complessa, la cui illustrazione richiederebbe tempo e spazio. Per una sua spiegazione vi rimando al mio libro Il lato oscuro del calcio globale, in uscita la prossima primavera. Per quello che riguarda il discorso condotto qui, risulta un bizzarro gioco contabile secondo cui vengono effettuati pagamenti separati per i diritti federali e per quelli economici.
Secondo quanto riportato dal quotidiano spagnolo El Mundo4, il primo a dare notizia della controversia, Cases sottolinea le anomalie nella suddivisione della cifra di 57,1 milioni di euro ufficialmente dichiarata per l’acquisto del calciatore. Di quella cifra, 17,1 milioni sono stati destinati al pagamento dei diritti federali, e secondo le percentuali stabilite fra Santos, DIS e Teisa. E i restanti 40 milioni? Risulta siano stati versati, a titolo di commissione, alla società N&N (Neymar e Neymar), costituita dal calciatore e da suo padre. Un’anomalia spaventosa, che per di più lascia il dubbio che siano andati interamente alla società dei Neymar.
Ovviamente è tutto quanto da provare, e Rosell è innocente fino a prova contraria. E tuttavia non si può fare a meno di sottolineare come non sia la prima volta che il presidente del Barça si trova al centro di casi imbarazzanti. Il suo curriculum era pieno di punti oscuri prima che venisse eletto alla presidenza del club, e altri ne sono giunti dopo la sua presa di potere. Durante gli anni Novanta è stato dirigente spagnolo della ISL (International Sports and Leisure), la società di commercializzazione dei diritti sulle manifestazioni sportive che fece bancarotta nel 2001, facendo passare pessime settimane al colonnello Blatter5. Successivamente è stato responsabile della Nike per l’America Latina, e in quel ruolo ha orchestrato l’operazione di sponsorizzazione della nazionale brasiliana che determinò la formazione di una commissione parlamentare d’inchiesta6.
Seconda parte qui

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :