Il barone sanguinario è uno di quei testi che contribuiscono in modo determinante a far luce sulle pieghe più oscure e dimenticate della storia mondiale, su avvenimenti che spesso sono obliati dalla descrizione del divenire della nostra contemporaneità. Atmosfere in penombra, confuse nella Parigi tra le due guerre mondiali, luoghi di ricerche affannose che Vladimir Pozner frequenta nella investigazione dei fatti che, confusi tra ricordi di aristocratici decaduti e ufficiali zaristi sopravvissuti alla marea bolscevica in un esilio da tassisti, portano all’inseguimento della figura del barone Roman von Ungern-Sternberg, fantasma di cui si sono perse le tracce, incarnazione demoniaca di efferatezze belliche e scontri titanici fra ideologie, avvenuti in un passato che, pur recente, incarna la tragicità di massacri e battaglie eterne, accaduti in quei luoghi, tra Tibet, Caucaso e Cina, che hanno il potere di rivisitare quei confronti senza tempo che tanto hanno contribuito alla creazione dei miti guenoniani e occulti. Come un missionario inviato in partibus infidelium Vladimir Pozner porta avanti la sua ricerca, giungendo alla creazione di un testo che unisce in modo mirabile la particolarità storica e il fascino narrativo. Se i libri sono un universo e, come ogni universo, sono uniti da misteriose assonanze, non stupirà il fatto che del barone von Ungern-Sternberg si fa menzione in Limonov, altro testo maledetto e inquietante. E se ogni universo ha un artefice, Adelphi è senz’altro l’artefice di un universo letterario. Un libro.
Il barone sanguinario, di Vladimir Pozner (Adelphi).