La punizione, che segna la fine di un ciclo europeo, arriva nel secondo tempo. Robben ha nel suo bagaglio un movimento, il rientro da destra sul sinistro per la conclusione o il servizio al compagno più libero, ma pur sapendolo è quasi impossibile fermarlo. Se mettere a segno 4 reti in un tempo è impresa al limite degli incontri ravvicinati del terzo tipo, quando al 48′, l’olandese esegue, lascia sul posto Adriano ed infila Victor Valdes con un tiro a giro che vale l’acquisto dei biglietti per Wembley. Ma dopo la lezione dell’Allianz Arena, arriva per il Barcellona anche l’umiliazione della lezione di gioco e di risultato in casa propria. Al 72′ in un Camp Nou dove si sentono solo più i tifosi del Bayern, Ribery fila sul fondo mette il pallone al centro e Piquè svirgola il rinvio ed infila la propria porta. Solo il Barcellona poteva essere in grado di rimontare, aveva detto il difensore alla vigilia, ma non è sempre un dimesso Milan l’avversario. Quattro minuti dopo, Ribery si ripete, questa volta il traversone è sul secondo palo dove Muller sovrasta un insufficiente Bartra e sigla la rete del 7-0 in 165 minuti. I tedeschi vanno a Wembley per il primo derby teutonico in una finale di Champions League dove incontreranno il Borussia Dortmund, rivale che quest’anno la squadra di Heynckes si ritrova in ogni competizione: unica a cercare di mantenere il ritmo in Bundesliga, avversaria fino in fondo in Champions, sconfitta per 1-0 nei quarti di finale di Coppa di Germania dove il Bayern, ancora in lizza per il triplete affronterà in finale lo Stoccarda.
Da “Finale oh oh”, intorno al novantesimo la festa dei tifosi ospiti si trasforma, in onore di Wembley e del calcio tedesco, in “Football is coming home” (slogan degli europei inglesi). Lo spettacolo del grande calcio ritorna sotto l’arco di Wembley, l’elitè del calcio è ritornata ad essere la Germania. Probabilmente si apre un ciclo mentre in casa blaugrana sicuramente il pesante fardello di questi otto giorni di sfida con i tedeschi porterà novità estive. Nessuno può permettersi il lusso di dipendere da un solo giocatore, anche se si tratta del più forte del mondo.