Mi ripresi dal pesante sonno della sbronza con qualche acciacco.Provai ad aprire gli occhi, ci riuscii per metà o quasi, e la prima cosa che incontrò il mio sguardo fu il soffitto bianco di una stanza illuminata naturalmente, era la luce di un sole estivo del pomeriggio, era una luce troppo intensa perché riuscissi a tenere aperti gli occhi senza provare dolore.Avevo bevuto eccessivamente la notte appena trascorsa, e poi ero finito a letto con lei, ancora una volta. Mi ritrovavo per la seconda volta accanto a Vestito Azzurro, nel suo appartamento piccolo e ordinato dai colori pastello, sul suo letto matrimoniale dalle lenzuola a fiorellini rese umide dai nostri corpi ferventi di qualche ora prima. Mi ritrovavo su quel letto senza la capacità di ricordare gli eventi della notte in modo continuativo: un flash, un altro ancora. E ancora, un’immagine dietro l’altra mi si visualizzava dietro le palpebre, come diapositive.Passò qualche minuto, decisi di riaprire gli occhi ed affrontare nuovamente il soffitto. Aprii una palpebra e poi l'altra, entrambe a metà, entrambe con cautela.Sentii il bisogno di sciacquarmi la bocca con dell'acqua, nella speranza di riuscire ad eliminare quel collante dall'aroma pessimo che mi aveva sostituito la saliva.Alzai la schiena dal materasso e un lembo del lenzuolo rimase aderente alla mia pelle come fosse adesivo. Era un risveglio di colla: tra sudore e impasto in bocca.Buttai lo sguardo oltre il letto e notai una mezza bottiglia d'acqua accanto al comodino. La presi d'istinto, senza accertarmi che fosse veramente acqua, e la buttai giù fino a svuotarla. Mi sentii decisamente meglio. L'impasto in bocca divenne di una densità accettabile, e l'aroma alla cicca di sigaretta e fango sopportabile.A terra, di fronte ai piedi del letto, stavano i nostri indumenti sparpagliati. Prova inconfutabile di una passione ardente e selvatica scoppiata nella disinibizione del Dio Alcol.Qualche decina di centimetri distante da una mia scarpa notai anche un bicchiere infranto.
Un bicchiere infranto?Perché?
Vestito Azzurro stava al mio fianco, dormiva a pancia in giù, sopra le lenzuola a fiorellini, completamente nuda, con la testa rivolta verso di me e coperta da un ciuffo scuro e indomabile.Mi avvicinai al suo volto e la guardai con attenzione: una striscia di rossetto le partiva dal labbro superiore e le rigava il viso fino allo zigomo. Era un'immagine che chiamava poesia: quel viso grazioso e delicato deturpato dalla volgarità di una spessa linea di rosso maleducato e pacchiano, sembrava rappresentare alla perfezione il contrasto della bambina innocente di qualche anno prima, e la donna peccatrice quale stava diventando sempre più. Se fossi stato un pittore avrei fatto mio quel soggetto.Non sono un pittore, e nemmeno un poeta. Peccato.Aveva tratti morbidi Vestito Azzurro, pelle chiara, e un nasino grazioso leggermente pronunciato all’insù. Guardarla dormire mi fece pensare al fatto che se solo l’avessi conosciuta al momento giusto, me ne sarei potuto innamorare.
Qual’è il momento giusto?Non tornerà mai più un momento giusto.
Le carezzai le natiche, e le passai le dita sopra la schiena seguendo il sentiero della colonna vertebrale, fino ad arrivarle al collo, per poi poggiarci sopra le labbra, accennare un bacio, e sentire così l’odore dei suoi capelli. Odore di fumo e sesso, e sale.Facendo molta attenzione scesi dal letto, poggiando prima un piede e poi l’altro, non volevo svegliarla, e soprattutto non volevo tagliarmi un piede con un qualche frammento di vetro.
Chi ha rotto questo bicchiere?
Raccolsi le mutande da terra e me le infilai, poi indossai pantaloni e calze, raccolsi da terra una scarpa e cercai la sua compagna apparentemente scomparsa. La trovai qualche metro più distante, sotto la maglia raffigurante il logo Harley-Davidson. Infine trovai e raccolsi anche la camicia che era andata nascondendosi sotto al letto, quando la alzai da terra, un pezzo di carta giallastro scivolò dal taschino e ondeggiando si poggiò a terra come fosse una foglia d’autunno staccatasi dal ramo.Raccolsi il pezzo di carta: era un comunissimo tovagliolino ripiegato in due, uno di quei tovagliolini che stanno sopra i tavoli dei locali recanti il logo della torrefazione di caffè.Lo aprii, e ci trovai una frase scritta a mano:
- fuggi il prima possibile -
Che diavolo significa?
La frase mi risuonò in testa come una minaccia, e forse lo era, anzi, sicuramente era l’innocua minaccia di un ex ragazzo o amante di Vestito Azzurro che, probabilmente, decise di infilarmelo nel taschino la notte prima approfittando di un mio momento di distrazione. Chissà chi era? Avevo salutato, scambiato chiacchiere, ed elargito pacche sulla spalla e abbracci con il mondo quella notte. Quando sono ubriaco divento amico di tutti...
Conobbi Vestito Azzurro due settimane prima, nello stesso identico locale dove avevo passato la notte appena trascorsa. La notai subito, e la notarono subito anche tutti i presenti nelle vicinanze quando avvolta da quell'abito diafano e color del cielo di primavera, si mise seduta sul divanetto di stoffa rossa a lato della pista da ballo, e accavallò le gambe.Quel gesto fu più che sufficiente ad ammaliare tutti gli uomini nelle vicinanze, e chissà quanti erano già stati vittima di quella bellezza assuefacente capace di trasformarli in docili cagnolini ubbidienti.Ai piedi scarpe dal tacco alto si ramificavano in numerose e sottili strisce di pelle color panna, che la avvolgevano fino a qualche centimetro sotto le ginocchia. Con il piede disegnava un cerchio nell’aria. Gambe lisce e lucide le sue, gambe trattate e scolpite con cura. Vestito Azzurro sapeva che sfoggiarle la rendeva una potente calamita per maschi, e quando avrebbe incontrato il giusto esemplare di uomo, le avrebbe spalancate e lo avrebbe preso con la gioia tipica da vendetta compiuta. Vestito Azzurro non si sentiva puttana, si sentiva sincera. Perché è così che deve funzionare: in passato aveva rispettato la sua adolescenza e la sua verginità, in passato si era dedicata al suo giuramento rispettoso verso il proprio e unico uomo. Uomo che l’aveva fatta piangere e soffrire. Uomo che l’aveva tradita e fatto perdere il tempo magico della gioventù. Vestito Azzurro non credeva più nella fiaba dell’amore. Vestito Azzurro ora voleva solo godere.O almeno era la visione che mi feci di lei dopo che, scambiate poche chiacchiere, decise di portarmi nel bagno del locale, di prendermelo in bocca, ed infine di portarmi a casa sua per completare l’opera.Era stato il giusto premio al mio coraggio e alla mia determinazione infondo: appena la vidi infatti, fui il primo ad andarle incontro, a differenza di tutti quegli altri maschietti induriti e intimoriti dalla ragazza 'troppo bella per me' che, restarono a fissarla senza il benché minimo sussulto di coraggio.Gli uomini hanno il terrore di essere rifiutati dalle belle donne.
Quello che stavo vivendo, era il secondo risveglio nel suo letto, anche la prima volta non ricordai bene come ci finimmo, la cosa certa era che a tutti e due piaceva bere e scopare.Alla faccia di chi la domenica mattina si alza presto per andare in chiesa.
Mi infilai il tovagliolino con la scritta nella tasca dei pantaloni, indossai la camicia e l'abbottonai con qualche difficoltà, guardai il corpo nudo della ragazza: aveva un culo così bello e sodo che sul momento pensai di tirarlo fuori e di darle un penetrante benvenuto alla realtà. Ma non ci fu bisogno del mio sesso, perché nell’esatto istante in cui pensai a come darle il benvenuto, si svegliò. La ragazza si voltò mostrandomi i seni, seni piccoli come il frutto del peccato originale. Sbadigliò e si stirò allargando le braccia e incurvando la schiena, l’eleganza di quel gesto dalle proprietà feline avrebbe stregato e fatto defluire il sangue dalla testa di ogni uomo.“Che fai lì in piedi?” Chiese stropicciandosi gli occhi con il dorso delle mani, per poi strizzarli subito dopo come se una scossa le avesse improvvisamente attraversato la testa da parte a parte.
Hai la mia totale comprensione.Ci vorrebbero tendaggi oscuranti in questa stanza.
Avrei voluto dirle un mucchio di cose, farle dei complimenti o esordire con qualche parola smielata ad effetto, ed invece dissi semplicemente: “hai rotto un bicchiere”“Cosa?” bofonchiò con la voce ancora impastata dal sonno e da chissà cos'altro...“C’è un bicchiere infranto qui a terra”.“Sul serio?” Chiese affogando le parole dentro uno sbadiglio.“Si, lo hai rotto tu?”“Non lo so, non mi ricordo, ieri ero troppo ubriaca, e adesso mi fa troppo male la testa per pensare”. Dopo quelle parole si rotolò nel letto incastrando sensualmente le gambe tra le lenzuola stropicciate, e strinse a sé il cuscino.“Stai attenta quando scendi dal letto, ti potresti tagliare un piede”. Dissi.“Ok, ma perché sei vestito? Vai già via?”“Si”.“Non ti va di stare un po’ qui con me a farmi le coccole?” Lo chiese con voce ed espressione infantile. Così infantile da trasmettermi tenerezza. Non lo avrei fatto la settimana prima. In quel momento, quell’espressione mi fece decidere di sdraiarmi nuovamente di fianco a lei per poi coccolarla, come se in me la speranza avesse trovato un terreno dalla miracolosa fertilità. Una fertilità fiabesca.Vestito Azzurro poggiò la testa sul mio petto e disse: “so che mi giudichi come una troia per il modo in cui ci siamo conosciuti, ma ho passato un periodo difficile…” Non risposi, nonostante fece una pausa per sentirsi smentire non risposi, voleva che le dicessi che non la vedevo come una troia, ma io non la vedevo così distante dall’esserlo, e dire il contrario sarebbe stato sbagliato, non dire nulla sarebbe stato giusto.“…mi piacerebbe che il nostro rapporto diventasse più completo”.Quelle parole mi trovarono impreparato, e mi fecero tornare alla mente la prima volta che baciai una ragazza, le sue scarpe e i suoi calzini rossi.
Perché il ricordo di Alice? Perché ora?Sento l’odore di gomma da masticare alla fragola.
Deglutii un bolo di nostalgia e mucosa, e dissi con voce secca: “va bene, potresti cominciare col dirmi il tuo nome”.“Non te l’ho mai detto?” Chiese incredula.“A meno che il tuo nome non sia veramente Vestito Azzurro!”La ragazza sorrise e disse: “Alice. Mi chiamo Alice”.
Proprio come lei!Curioso.Sarà un caso? Destino?Sciocchezze.
“E’ un bel nome Alice, è stato il nome della mia prima ragazzina: avevo quindici anni, e non me la diede mai” incorniciai le ultime parole con un sorriso nella speranza di sembrare divertente.Alice sorrise nuovamente. “Tu, invece ti chiami William se non ricordo male”.“Si”“Sei bravo a fare l’amore William”.“Grazie, sei un’ottima fonte d’ispirazione tu”.Alice mi baciò sulla bocca e poi allungando la mano verso il comodino, sfilò una sigaretta dal pacchetto di Marlboro Light che ci stava poggiato sopra, la accese, e mi sistemò un posacenere di vetro marchiato Wieninger Bier sopra la pancia.Alice aspirò Marlboro e guardò le lingue di fumo dissolversi nell’aria.“Tu non fumi?”Chiese.“Fumavo” risposi, “sto cercando di smettere, è da una settimana che non ne tocco una”.“Bravo, non è facile.”“Per niente”. Dissi con un tono saturo di conferma.Alice guardò la sigaretta ancora quasi tutta intera, poi la spense nel posacenere, e rimise il tutto sul comodino.“Perché l’hai spenta?” Chiesi.“Non voglio infastidirti”.“Non ti preoccupare, fuma se ti va”.“Mi voglio preoccupare.” Poi, mi slacciò i bottoni dei pantaloni e non fu per niente stupita nel trovarmelo già duro.“Mi piace prendertelo in bocca.”Quelle parole precedettero di un istante il suo abbandono alla tentazione. Le guardai andare lentamente su e giù la testa, per poi fermarsi e prendere qualche secondo per contemplarlo e spostarsi i capelli all'indietro. Un lento su e giù e qualche sguardo di approvazione reciproco.Decisi di fumare una sigaretta. Allungai la mano verso il comodino, presi il posacenere con la sigaretta spenta, lo sistemai al mio fianco, l’accesi e aspirai ingordamente. Soffiai fuori un nuvolone bianco che sembrò prendere la forma di un’onda spumosa.
Cedere alle tentazioni è una cosa normale.Cedere alle tentazioni è l’unico modo per liberarsene.Chi lo disse? Oscar Wilde.
Nel vedermi fumare, Alice non trattenne un altro sorriso, da quando si era svegliata mi aveva già sorriso parecchie volte, pensai che era cosa buona. Le persone che sorridono trasmettono felicità, sorrisi belli come il suo poi, facevano venire la voglia di contraccambiarlo all’istante.Guardai l’orologio da parete che mi stava di fronte: segnava l’una e venti del giorno.Un forte brivido di piacere mi distrasse dalle lancette facendomi irrigidire tutto il corpo. Alice alzò la testa, la sua lingua smise di dardeggiare, si passò le dita sulle labbra umide, e mi guardò in modo comprensivo.“Vado in bagno”. Disse, e mettendo il piede destro a terra lanciò un urlo.
Il bicchiere infranto.
Spensi la sigaretta, mi alzai dal letto, e andai ad esaminarle il piede, fortunatamente, non fu niente di grave, fu un urlo lanciato più per paura che per dolore, un leggero e fastidioso taglio superficiale sotto la pianta del piede, niente di più.La presi tra le braccia e la portai in bagno, dove disinfettai il taglio, le misi un cerotto, e avvolsi il piede con una striscia adesiva per medicazioni.
Che bei piedi.
Avrei potuto raccoglierlo quel bicchiere se fossi stato meno pigro...
“Fai attenzione a dove cammini e rimettiti sul letto, ora prendo scopa e paletta e tiro su i vetri”. Dissi baciandoglielo.“Sei un ragazzo molto dolce”.La guardai e accennai un sorriso, era vero, ero un ragazzo dolce, il tempo e le brutte esperienze con le ragazze me lo avevano fatto dimenticare.Alice zoppicò verso il letto e si sdraiò.Il bicchiere si era diviso in cinque pezzi, ma la base era ancora intera, la raccolsi e prima di buttarla la annusai.
Whisky
Era Whisky, perfetto, non avevo dubbi ora, non potevo averlo bevuto io, il Whisky era una cosa che non bevevo da diversi anni, non mi andava più giù dopo che, una sera di qualche anno prima ci presi una sbornia colossale. Trovavo nauseabondo anche il solo odore. Niente inutili sensi di colpa quindi, era stata Alice a fare cadere il bicchiere a terra.“Con la sbornia che abbiamo preso ieri in discoteca, hai avuto un bel coraggio a farti un bicchierino di Whisky tornata a casa. Hai dei seri problemi di alcolismo cara”.“Whisky? Io non ho bevuto nessuno Whisky”.“No? Bè, se non sono del tutto andato, questo mi sembra proprio Whisky”. Dissi portandomi il bicchiere al naso per la seconda volta.“Lo avrai bevuto tu”. Rispose Alice, cercando una conferma nel mio sguardo.Scossi la testa. “Io non bevo Whisky”.“Io non l’ho bevuto”. Disse.“Come fai ad esserne certa? Quando ti sei svegliata hai detto che non ricordavi niente”.“Ora mi ricordo. E ti dico che io non ho bevuto nessuno Whisky del cazzo”. Disse in tono scocciato.“Forse lo avevi sul mobile qui in camera da qualche giorno, e stanotte rientrando, uno di noi due ci ha preso contro facendolo cadere e non si è accorto di nulla”.“Non lascio mai i bicchieri in giro per la casa, e poi non bevo Whisky da molto tempo, ho una bottiglia in cucina, la tengo sopra il frigo, me la hanno regalata a Natale, e non è mai stata aperta... Vai a controllare!”Mi diressi in cucina pensando a chi mai avrebbe potuto regalare una bottiglia di whisky ad una bella ragazza. Guardai sopra al frigo e vidi la bottiglia a cui mancava proprio la quantità di un bicchiere.
Merda.
“Allora? La bottiglia?” Chiese Alice con voce agitata.Tornai in camera con la bottiglia in mano e gliela mostrai.“Mio Dio. Qualcuno è stato in casa”.Osservai il volto di Alice, e vidi una ragazza spaventata.“Sei sicura di quello che dici?” Chiesi.“Si. Te lo giuro.”“Chi potrebbe essere stato?”“Non lo so”.“Qualcuno ha le chiavi di casa tua?”“No”.“Sicura?”“Sicura”.Pensai un poco, e mi saltò alla mente la prima sera che Alice mi portò a casa sua, probabilmente l’aveva fatta con decine e decine di uomini la cosa di ubriacarsi e farsi scopare nel suo appartamento, e uno prima di sparire avrebbe potuto rubarle le chiavi, così chiesi: “con quanti uomini ti sei comportata così?”“Così come?”“Come…”“Una puttana?” Disse interrompendomi.Non dissi nulla.“Solo con te”. Rispose.“Dimmi la verità”.“Non sono una puttana, solo con te, non sono una putt…” La sua voce si strozzò come se dovesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro.“Ti credo, stai tranquilla”.A nessuna donna piace sentirsi dare della puttana, neanche a quelle che lo fanno per mestiere.Mi grattai la punta del naso, e annusando il bicchiere per un’ennesima volta chiesi: “Qualcuno potrebbe averti rubato le chiavi di casa?”Alice prese il mazzo di chiavi dal cassetto del comodino e le controllò tutte.“Ci sono tutte?”“Ci sono tutte, ma tengo un altro mazzo di scorta che non uso mai nel mobile con la vetrina in soggiorno, quello vicino alla televisione, dentro c’è un soprammobile raffigurante un coniglietto, sono lì a fianco le chiavi”.“Vado a controllare”. Dissi.Quando aprii la vetrinetta del mobile in soggiorno, vidi il mazzo di chiavi a fianco del coniglio, le presi e le portai ad Alice. Quando le prese tra le mani, cominciò a esaminarle, e poi sbuffò.“Allora?”Chiesi.“Ci sono tutte”.Mi sentii sollevato, e guardandola in viso capii che provò la stessa sensazione. Ma questo non escluse il fatto che qualcuno potesse avere le chiavi dell’appartamento, il bevitore di whisky avrebbe potuto prendere quelle di scorta, farne una copia e riporle nel posto da dove le aveva rubate: nella vetrinetta, di fianco al coniglio, e forse lo fece poco prima di gustare il suo whisky e di osservarci dormire. Ci osservava e pensava a quale sarebbe stato il momento più giusto per ucciderci. Avrebbe potuto rovesciare il contenuto della bottiglia sulle lenzuola e lanciare la sua sigaretta appena accesa nel letto, dando vita così alla sua vendetta. I peccatori bruciano tra le fiamme dell'inferno...Ecco cosa succede a chi la domenica mattina non va in chiesa.
Non viaggiare troppo con la fantasia.
Quel Whisky qualcuno lo aveva bevuto, era un dato di fatto.“Cerchiamo di non diventare troppo paranoici”. Dissi guardandola.
- fuggi il prima possibile -
Come non detto.
“Ho trovato questo stamattina… era nel taschino della mia camicia”. Dissi, porgendole il pezzo di carta con la scritta.“Fuggi il prima possibile… che cosa significa?”“Non lo so, ma potrebbe essere collegato in qualche modo al mistero del bicchiere”.
Ho visto troppi film forse.
“Hai visto troppi film”. Disse.Appunto.
“Hai ragione, ma è difficile ragionare dopo una sbornia”. Mi sdraiai a fianco del suo corpo nudo. Alice mi si avvicinò e poggiò la guancia contro la mia.“Forse hai ragione tu, stanotte ero molto ubriaca, può darsi che abbia bevuto un bicchiere e non me ne ricordi più. E' l'unica teoria che può stare in piedi...” disse la ragazza.La abbracciai e le baciai il volto una decina di volte, scaldandole la pelle del viso con il respiro, poi mi fermai, vedendole gli occhi lucidi e sentendo un respiro trattenuto.“Che c’è?” Chiesi.“Niente”.Una lacrima scomparve tra le lenzuola.“Che c’è?”“Non lo so, è da un po’ che mi succede, piango per piccole cose. Cose inutili, certe volte sono cose insignificanti”.
Ci sono motivi giusti o sbagliati per piangere?No.
Alice si alzò dal letto, quando poggiò il piede fasciato a terra, sul suo volto si disegnò una fugace smorfia di dolore.“Dove vai?” Chiesi.“Devo assolutamente farmi una doccia, solitamente il mal di testa diventa meno pungente dopo”.“Dovresti mettere un sacchetto di plastica al piede, in modo da non bagnare il taglio”.Alice fece un cenno affermativo e si diresse con andatura claudicante prima in cucina a recuperare un sacchetto di plastica ed un elastico, poi in bagno. Camminò poggiando il piede ferito solo sulle dita.Dopo pochi secondi sentii l’acqua della doccia scorrere e tamburellare nel piatto.Guardai l’orologio alla parete, segnava le due e dieci del giorno.
Alice.
Il nome di Alice stava diventando per la seconda volta un nome importante nella mia vita.
Che mi stia innamorando?Impossibile. Non ci si può innamorare due volte.
Chiusi gli occhi e mi addormentai con un leggero sorriso.Quando li riaprii, non sentii il suono dell’acqua scorrere, l’orologio segnava le tre e quaranta del pomeriggio, e Alice non era di fianco a me.“Alice?” Chiamai. “Alice, dove sei?”Mi rispose l’impercettibile suono delle lancette dell’orologio da parete. Il ticchettio amplificò la sensazione di vuoto che provai svegliandomi senza lei, in una stanza non troppo familiare, in una stanza dalle pareti rosa pastello, dal letto umido, da un respiro affannoso che incombe nella mente.Andai nel bagno, sullo specchio un piccolo e leggero alone di vapore cedette al riflesso, nella doccia un forte odore di shampoo ai frutti, ma di Alice nessuna traccia. Mi diressi in cucina, e tutto mi sembrò come la vidi in precedenza, in soggiorno nulla.L’appartamento era vuoto. Alice non c’era.
Fuggi il prima possibileUn avvertimento capito troppo tardi.
Aprii gli occhi.
Uno stupido sogno.
L’orologio segnava le tre e quaranta del pomeriggio, ed Alice era al mio fianco, dormiva, con addosso un forte odore di shampoo ai frutti e un paio di semplici mutandine bianche da ragazzina, con il ricamo in rilievo di un noto orsacchiotto dei cartoni animati. La guardai in viso, e nello scoprirla senza trucco e con i capelli raccolti mi accorsi della sua bellezza classica. Innocente. Solleticante.
Pericolosa.
Era una domenica pomeriggio passata nel letto di Alice a sonnecchiare, pensare, e venire. Era una domenica pomeriggio che avrebbe sicuramente cambiato il mio futuro, le mie abitudini.Era bella, era lì, e io ci stavo a fianco. Forse non era nemmeno una troia, forse aveva passato veramente un momento troppo difficile. Ognuno reagisce in modo diverso alle proprie difficoltà, c’è chi sceglie la redenzione, c’è chi riesce a farsi scivolare tutto addosso, c’è chi si suicida, e c’è chi scopa. Lei scopava, e lo faceva come se fosse l’ultima opportunità per godere.Mi persi nei pensieri, feci un riassunto dei miei giorni, e trovai una risposta a una domanda che non mi accorsi nemmeno di essermi posto.
Si, si può.
“Cosa ti fa sorridere?” Disse Alice vedendomi.“Sei sveglia?”“Ho aperto gli occhi e ti ho visto sorridere”.“Stavo pensando”.“A cosa?”Chiese.“A noi”.Ci fu un tenero abbraccio, ci fu il piacere della condivisione, ci fu la magia che m’ero scordato. La magia.Quella magia che ti fa venire voglia di ridere per ogni singola sciocchezza, che ti fa venire la voglia di scrivere poesie e di ricercare le forme degli animali nelle nuvole.
Il tempo con Alice sembrava scivolare via con particolare velocità, era una sensazione bella, ma preoccupante. Stavo nel suo appartamento da molte ore ormai, avevamo parlato, avevamo fatto sesso, avevamo… un bicchiere infranto.Mi alzai dal letto e mi ricordai di puzzare di sudore e sesso. Guardai fuori dalla finestra notando la luce nella stanza calare d'intensità all'improvviso. Spostai la tendina, e mi accorsi della presenza di un nuvolone grigio che oscurava il sole. Le chiome dei pioppi nella via cominciarono a vibrare e qualche goccia d'acqua prese a bussare contro i vetri.Un cattivo pensiero non ben definito scese dalla testa, mi attraversò l'esofago e s'adagiò nello stomaco...Il telefono sopra al comodino stile anni '80 prese a trillare provocando un sussulto in me ed Alice. Si era creata una strana tensione in quella stanza. Quella grossa nuvola grigia aveva portato energia negativa.Alice si portò la cornetta all’orecchio. Si mise in posizione seduta, si irrigidì e con voce tremante disse: “...cosa? Cosa hai... Io non volevo... Non chiamarmi così...” e le ultime parole furono confuse tra le lacrime. Poi poggiò la cornetta sul telefono, mi guardò e io feci lo stesso.“Chi era?” Chiesi.Non rispose.“E' successo qualcosa?”“Vai via...” disse, bisbigliando quasi. Poi si voltò e mostrò solo la sua schiena nuda e i capelli scuri.Alice aveva il viso innocente di una bambina, anche gli occhi erano quelli di una bambina. Gli occhi dei bambini sono facili da perforare, basta poco per scoprire la verità.Gli acidi dello stomaco mi arrivarono fin sopra la punta della lingua.Capii tutto.Deglutii faticosamente, in bocca la saliva divenne di sabbia.Avrei voluto prendere il televisore e lanciarlo contro la parete, avrei voluto ribaltare il letto e strappare quelle stupide lenzuola con i fiorellini, avrei voluto spaccare altri bicchieri, e attaccarmi alla bottiglia di Whisky e ingollarne il suo contenuto trattenendo il fiato, fino a vomitare.Avrei voluto urlare e scaricare un po' di quella rabbia e di quel malessere che mi stava mangiando gli organi.Ma non reagii, sospirai semplicemente, e non dissi nulla.Guardai fuori dalla finestra, l’asfalto era lucido, la pioggia si era avviata per bene.Mi diressi fuori dall’appartamento senza guardarla e senza dire niente, poco prima di chiudermi la porta dietro le spalle mi sembrò di sentirla piangere, e per un istante mi bloccai voglioso di rimandare ancora per una manciata di secondi l'addio non pronunciato.Il boato di un tuono echeggiò nello spazio e sotto il porticato dell'entrata, dove, un uomo vestito di scuro e con un grosso bagaglio, attendeva nello spazio di una sigaretta appena accesa.Mi allontanai e camminai sotto la pioggia che, sciolse gli odori di sesso, fumo, e chewin-gum alla fragola.