I biocarburanti vengono presentati come una fonte di energia rinnovabile in grado di fermare il cambiamento climantico, dato che le piante che li producono assorbono pià carbonio di quanto non ne venga rilasciato in atmosfera dal biodiesel. Ma a questo computo va aggiunto l'effetto di una eventuale deforestazione, mentre resta aperto il rischio di una diffusa crisi alimentare.
Tra i sostenitori dei biocarburanti, i ricercatori britannici de Britain's Imperial College, della CAMCO (specializzzata in commercio di crediti di carbonio), e del Forum for Agricultural Research in Africa (FARA), secondo cui l'espansione delle colture energetiche consentirebbe di aumentare gli investimenti in terreni e delle infrastrutture, e questo potrebbe avere un effetto positivo sulla produzione alimentare e, se gestita in modo adeguato non significa distruggere le foreste naturali.
Ma proprio l'aumento degli investimenti rischia di creare nuovi impatti: "L'espansione dei biocarburanti sta trasformando le foreste e la vegetazione naturale in colture energetiche, e sottrae terreno agricolo alle coltivazioni per uso alimentare, oltre a aumentare i conflitti con le popolazioni locali sulla proprietà terra", spiega Mariann Bassey, di Friends of the Earth della Nigeria.
Secondo il rapporto, il Kenya e l'Angola hanno ricevuto entrambe proposte per l'utilizzo di 500.000 ettari per i biocarburanti, mentre un piano analogo mira a impiegare 400.000 ettari in Benin per coltivazioni di palma da olio.
In Tanzania, i coltivatori di riso sono stati espulsi dalle proprie terre per fare posto a un progetto di coltivazione estensiva di canna da zucchero.
"La competizione per la terra e l'impiego di colture produzioni alimentari di base come il sorgo e manioca dolce per fabbricare agrocarburanti, rischia di far lievitare i prezzi di alimenti di base e dei terreni", spiega il rapporto.