Il primo è da ricercarsi nell’elemento saffico della storia trattata, che tocca inevitabilmente tutti i dogmi, le coercizioni e i tabù, sia religiosi sia sociali, sul tema dell’omosessualità, in Francia comunque laicamente più discussi rispetto al nostro Paese.
Il secondo, ovviamente, è la valutazione dell’opera in sé, che deve evidenziarne i pregi come gli inevitabili difetti, analizzando l’albo senza che il gusto personale influenzi la critica oggettiva.
Sfogliare le prime pagine di Il blu è un colore caldo vuol dire conoscere irrimediabilmente il finale di questa storia.
È dunque tramite i diari della giovane Clementine, detta Clem, che inizia questo gioco di ricordi, facendo emergere tutti i segreti, i turbamenti e le speranze di un’adolescente che scopre la vita e inevitabilmente la propria sessualità.
Ma cosa succede se all’improvviso un incrocio di sguardi con una ragazza dai capelli blu ribalta le poche certezze di una quindicenne, rivoluzionando gli equilibri precedentemente vissuti come tali?
Comincia così, per Clem, un lungo cammino alla riscoperta dei propri desideri e convinzioni; un cammino che la porta a scontrarsi con un amore prima rinchiuso tra i confini della non-accettazione, poi divampato in un tripudio di sentimenti rincorsi e consumati.
L’amore nei confronti di Emma (la ragazza dai capelli blu) diventa così il punto focale della crescita morale e ideologica di Clem, che giunge alla completa accettazione della propria omosessualità, sebbene le implicazioni sociali possano turbare tale cammino di auto-coscienza.
Nonostante l’ottimo impianto narrativo, l’autrice compie alcune scelte non proprio originali, che mal si amalgamano alla costruzione del soggetto. Come il classico scontro tra due caratteri estremamente diversi, quello insicuro di Clem e quello provocatorio di Emma, quest’ultima presentata con fare molto mascolino; due caratteri che nonostante le difficoltà trovano un punto in comune nel sentimento reciproco.
Il comparto grafico dà vita a sentimenti molto contrastanti.
Da un lato l’anima cartoonesca che tratteggia personaggi e ambientazioni potrebbe soddisfare i palati meno esigenti. Laddove l’uso del colore nelle parti del presente e la tonalità seppia in quelle dei ricordi distraggono dalle carenze tecniche dell’artista, il tratto generale risulta costantemente sporco e mal rifinito, tanto nelle fisionomie e nelle proporzioni quanto nella costruzione degli ambienti, facendo apparire il tutto come abbozzato, con qualche imperfezione anche nell’uso della prospettiva.
La regia, invece, si sposa perfettamente con l’aspetto narrativo, dando vita a tavole con sapienti cambi di inquadratura funzionali alla sceneggiatura, descrivendo efficacemente le atmosfere, i sentimenti e le emozioni messe in scena e riuscendo così a sottolineare i momenti salienti.
Tirando le somme, a patto di non pretendere troppo da un apparato stilistico grezzo e lontano da una completa maturazione, questa prima prova di Julie Maroh risulta estremamente godibile grazie a una sapiente narrazione, dove l’elemento saffico costituisce ovviamente il nucleo dell’intera struttura, divenendo contemporaneamente vettore di denuncia sociale.
Abbiamo parlato di:
Il blu è un colore caldo
Julie Maroh
Traduzione di Federica Zicchiero
Rizzoli Lizard, ottobre 2013
158 pag, brossurato, colore – 16,00 €
ISBN: 9788817069939
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