Non abbiamo niente da dire.
Ma lo diciamo.
Lo diciamo sempre e comunque.
Le parole sono libere, democratiche,
possono essere
persino illuminanti, ma noi
non illuminiamo
noi stanchiamo
voi stancate
essi eccetera.
Non abbiamo niente da dire, ma sappiamo
come dirlo, lo diciamo con arte, ipocrisia.
Non vogliamo dire che siamo alle corde,
e nemmeno felici, vogliamo dire invece
cose intelligenti, costi il poco che costi.
Dove sei parola, se la violentiamo
con la nostra cattiveria, infelicità,
sdegno posticcio, superbia, tutto minimo…
Dove sei, se non qui, nel petto invaso
delle nostre ragioni, delle nostre lacrime
restanti e incurvate. Dove sei parola
se non nei libri che non vengono letti,
che costano sangue e sudore; ma noi
non possiamo farci niente, abbiamo, noi
il sudore nostro, pesante, da dirigere.
Noi vogliamo dire, noi diciamo, esprimiamo
il nostro profondo sdegno. La nostra alta
commozione. Urliamo o abbiamo urlato,
nei cortei. Una rara volta. Tanto tempo fa.
La nostra vita è regolata dalla precarietà.
Un tergicristallo che leva la pioggia
delle nostre giornate. Così oggi.
Diciamolo, e che in fondo così sia.
[Vagamente ispirato da "Middle class blues" di Hans Magnus Enzensberger. Immagine: FK - L'espace d'un matin.]