Il bozzolo e la farfalla

Da Romina @CodicediHodgkin

Amore,

eccoci qui, infine. Stretti insieme nonostante i pronostici. Nonostante gli odiosi incidenti che hanno rischiato non semplicemente di separarci, ma di strapparci. Nonostante in certi momenti non ci credessi nemmeno io. Nonostante gli incubi e l’immobilità. Nonostante tutto, siamo qui, e io sono convinta che sia principalmente merito tuo, che ci hai creduto più di me. Con la caparbietà di chi ormai ha deciso che, a tutti i costi, si aggrapperà con le unghie e con i denti, sei rimasto. E hai insegnato a tutti cosa sia la Volontà.

E’per prepararmi a questo che mi sono chiusa nel bozzolo. Per pensare a te. Per farti cadere dalle stelle. E così, invece, un po’a sorpresa, mi sono presto trovata a non essere io una pupa in bozzolo. Sono diventata il bozzolo.

Ed allora siamo qui, ed io ti osservo senza vederti. Ti sento senza che tu abbia voce. E rido. Rido perché quello che sei è talmente immenso e, al contempo, talmente piccino, che io non riesco a capirlo. Non lo comprendo e mi sembra così strano, così curioso, così “buffo”, che ne rido. Rido con l’entusiasmo e il candore di un bambino. Con l’entusiasmo e il candore tuoi. Poi, di quando in quando, mi prende una consapevolezza leggermente più profonda di quello che sei, di chi sei, che allora vengo totalmente sopraffatta da un’emozione che non capisco, non conosco, che mi spaventa e mi entusiasma al tempo stesso e mi fa tremare il cuore. Non il tremore della fredda paura. Il tremore del cuore quando si trova davanti a qualcosa di bellissimo, di artisticamente perfetto. E’così difficile da realizzare. Così difficile, eppure così naturale. Un legame vecchio come il mondo, sempre nuovo, sempre diverso, sempre così sconcertante.

Siamo una candela con due fiamme. Siamo un corpo con due nomi. Siamo due cuori che battono in un corpo solo. Siamo due anime che tendono la stessa pelle. Siamo io e te. E tu sei Amore divenuto materia. L’estensione di due persone che da sole non bastavano più a contenere tutto l’amore che provavano.

La prima volta che ti ho visto, sembravi una stellina lontanissima in un cielo senza luna, talmente microscopico che nessuno poteva garantire che ci fossi. Poi ti ho visto altre volte, ma non a cuor leggero perché eri veramente in difficoltà, e ho pianto dal sollievo e dal senso di indicibile stupore perché, benché lungo solo 4.4mm, il tuo cuore batteva. Eri vivo, più piccolo di mezzo centimetro e vivo, con un cuore che batteva. E lì ho realizzato che avresti veramente venduto cara la pelle. Poi ti ho visto di nuovo. Stavolta appena più serena, in un posto più rassicurante del pronto soccorso e finalmente osservandoti tenendo per mano l’unica persona al mondo che volevo fosse con me a vedere cosa aveva fatto. Eri perfetto, un pupazzetto con il testone da lampadina lungo 1.55cm. Ti ho guardato galleggiare nel tuo nido, ho sentito di nuovo il tuo cuore battere e un pensiero mi ha colpito all’improvviso, come una scarica elettrica. Eri ancora mezzo centimetro più piccolo della più piccola delle masse tumorali che ho avuto. Ho avuto un moto di orgoglio: sarai stato anche più piccolo del più piccolo dei miei maledetti diavoli ma…eri vivo. Eri Vita. Eri Vita e questo ti rendeva immensamente più grande di qualsiasi mostro abbia ospitato lo stesso corpo dove ora sei tu. Dove ora sei tu. Appena diciotto giorni dopo, eri già cresciuto due centimetri. Sempre chiuso in una camera dalle pareti piene di crepe, ma lì. Cresciuto alla grande. La bellezza di 3.55cm. Vivo, vivissimo e profondamente urtato dalla paparazzata la mattina presto. Bellissimo. Caparbio. Sfacciatamente vivo a dirmi di continuare a stare ferma a letto, che tanto tu la tua parte la stai facendo.

Infine, ti abbiamo spiato ancora pochi giorni fa. Sano come un pesce e bello come il sole. Sette centimetri in costante movimento, con tante cose da fare: grattarsi il testone, tirarsi i piedini, guardarsi le mani e, quando il gioco è andato avanti troppo per i tuoi gusti, tirare calci e pugni a quella stupida, fastidiosissima sonda spiona! La dottoressa dava le botte alla pancia per farti mettere di profilo e tu, per tutta risposta, ti sei girato e hai mostrato il sedere a tutti.

Siamo già a metà strada, piccino, siamo a buon punto ma la strada è ancora molto lunga. Dobbiamo fare moltissime cose, tu devi prepararti in un senso, noi in un altro. E ci aspettiamo a vicenda per cominciare insieme questo viaggio incredibile…

Ora baste chiacchiere e sentimentalisti: continua a darti da fare e, alla prossima ecografia, cerca di farci vedere se più giù di quel capoccione da Casper che ti ritrovi c’è anche qualcosa di interessante – e possibilmente non sporgente – da vedere!

Con amore

Mamma