Il braccio elettronico: cambi CVT

Creato il 21 maggio 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Già nel 1490 Leonardo Da Vinci ipotizzò una trasmissione a variazione continua del rapporto di velocità, e poco meno di 400 anni dopo iniziarono ad arrivare i primi brevetti ed esemplari.

Ne esistono svariati modelli ma per l’applicazione automobilistica il principale è quello con catena e due sedi a “diametro” variabile. Le due pulegge su cui ingrana la catena sono formate da due coni che, variando la distanza tra loro, variano la distanza dal centro di rotazione su cui la catena è forzata a rimanere. In questo modo il rapporto di trasmissione viene variato in modo continuo, ovvero non ci sono “bruschi” salti come accade con i normali cambi.

La proliferazione di questo schema in ambito automobilistico è da ricercare nella possibilità di far mantenere lo stesso regime di rotazione al motore indipendentemente dalla velocità del veicolo. Infatti la bassa efficienza dei motori termici in uso sulle nostre macchine può essere spesso imputata alla necessità di avere un “range” di funzionamento invece di poter utilizzare motori con punto di lavoro fisso, come accade per i motori nautici, ad esempio. Variare la velocità del motore, di per se, è un consumo di energia che non porta benefici all’utilizzatore, mentre se potessimo utilizzare un propulsore progettato per mantenere sempre gli stessi giri sicuramente ci sarebbero meno benzinai a far festa ogni volta che passiamo.

I CVT (continuosly variable transmission) hanno sempre avuto applicazioni utili, dunque, però da una decina d’anni a questa parte se ne parla molto di più perché con l’avvento dell’ibrido sono diventati una soluzione quasi ovvia per le auto che si fanno aiutare da un motore elettrico. Nel caso di un modulo elettrico interposto tra motore e ruote, infatti, lo schema del cambio può essere notevolmente semplificato e può rendere i piccoli propulsori elettrici parte integrante della propria architettura; questo comporta notevoli vantaggi in termini sia di ingombro che di peso.

Nonostante i buoni propositi e i vantaggi, sulla carta, del CVT siano tanti, ciò non toglie che è riuscito a guadagnarsi la nomina di “ammazza-auto” tra gli appassionati. Non di rado, infatti, si sente dire da autorevoli fonti di auto rovinate dalla presenza di questo cambio.

Tra i problemi principali che ledono lo spirito di sopportazione degli utilizzatori c’è proprio il fatto che può (e ci prova in ogni istante) mantenere costanti i giri del motore: per quanto un’auto possa essere silenziosa un monotono e costante brusio romboso, senza verve e senza note “interessanti” finisce per sfiancare anche le orecchie più pazienti. Inoltre, per quanto riguarda il fronte consumi, non è esente da critiche poiché, in caso di catene e rulli, gli assorbimenti e le perdite di potenza con questa soluzione possono essere molto consistenti al punto di fargli perdere tutto ciò che guadagna attraverso la più attenta gestione del regime.

Questi motivi, insieme alla sgradevole sensazione per il freno motore assente o “innaturale” e all’applicazione su motori che sono pensati per saltellare allegramente da un regime all’altro, portano un risultato finale discutibile, che ne rendono l’applicazione “appena passabile” sulle ibride che, fino ad oggi, di emozioni non ne hanno suscitate mai molte.

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