Il brutto anatroccolo – Un’interpretazione psicologica

Da Psytornello @psytornello

Nella storia che vi ho raccontato, le varie creature della comunità osservano il “brutto” anatroccolo e in un modo o nell’altro lo dichiarano inaccettabile. In realtà non è brutto: semplicemente non è come gli altri. E’ talmente diverso da sembrare un fagiolo rosso in un cesto di piselli. Gli altri membri lo beccano e lo tormentano, con l’istinto di scacciarlo e il brutto anatroccolo ha il cuore spezzato perché i suoi lo rifiutano. E’ una cosa tremenda, specie perché in effetti non ha fatto nulla per provocare quel comportamento: è semplicemente un po’ diverso.

A chi di noi non è mai capitato di sentirsi diverso? La diversità sta solo nel discostarsi da certi canoni di bellezza ma anche nel non riuscire a rispondere alle aspettative (spesso assurde) delle persone che ci circondano. E quando ci si sente inadeguati, si impara a stare alla larga dalle situazioni, anche da quelle in cui in realtà potremmo muoverci bene. Questo accade perché se ci sentiamo fuori posto ci sembra anche di non azzeccarne una, di peggiorare le situazioni anche quando tentiamo di fare meglio….un po’ come l’anatroccolo che nella storia si comporta in maniera maldestra: gettando polvere nel burro, cadendo nel secchio di latte e così via…

Quando ci si sente emarginati, solitamente ci si chiude in se stessi, in una sorta di esilio simile a quello dell’anatroccolo. Nella storia il gatto arruffato e la gallina strabica trovano stupide e insensate le aspirazioni dell’anatroccolo. Vediamo così nella giusta prospettiva la suscettibilità e i valori di quelli che denigrano coloro che non sono a loro simili. Chi si aspetta che a un gatto piaccia l’acqua? Ovviamente, nessuno. Ma troppo spesso, dal punto di vista dell’esiliato, quando gli altri non sono simili, a essere inferiore è l’esiliato e i limiti e/o le ragioni dell’altro vengono sottovalutati.

E se si pensasse per un momento di essere cigni che non si rendono conto di esserlo, e anche di essere stati allevati o di essere circondati da anatre? Non c’ nulla di male ad essere anatre o cigni. Ma le anatre sono anatre e i cigni sono cigni. E se, essendo cigni, ci trovassimo a dover fingere di essere qualche altro tipo di animale? Non saremmo forse le creature più infelici del mondo? La risposta è ovviamente sì. E allora perché così spesso cadiamo nella trappola di dover assumere forme che non sono le nostre?

Alla fine del racconto, i cigni, prima che l’anatroccolo si riconosca in loro, lo riconoscono come uno di loro. E’ tipico di coloro che per molto tempo si sono sentiti in “esilio”: dopo tanto vagare riescono finalmente a trovare la loro strada e spesso per un po’ non si accorgono che gli altri non lanciano più occhiate sprezzanti, anzi mostrano addirittura approvazione e ammirazione. Chi si è sentito a lungo emarginato dovrebbe quindi esultare di felicità: e invece no. Almeno per un po’ resta terribilmente diffidente. Davvero mi stimano? Davvero sono al sicuro? Davvero non mi scacceranno? E’ solo con il tempo che i sospetti svaniscono e inizia la fase del ritorno a se stessi, l’accettazione della propria bellezza unica e irripetibile, della propria individualità, della propria identità specifica. 

Dunque, se come l’anatroccolo vi sentite soli, tormentati, abbandonati, all’oscuro di quel che potrà ancora accadere, resistete! Dopo l’inverno arriva sempre la primavera.

Fonte:  Clarissa Pinkola Estés – Donne che corrono coi lupi – Milano, 2013 Frassinelli


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