Voglia di lievitati, di rimettere in moto il forno a tutta "callara".
Non so voi, ma per quanto mi riguarda Settembre è il mese della campagna (oltre che un mese infinitamente romantico).
Penso alla vendemmia, agli alberi grondanti di fichi succulenti, ai profumi del bosco dopo le prime pioggie e le spedizioni funghifere che facevo da ragazzina quando ancora vivevo alla Bagnaia.
Ho un passato da contadinella, cresciuta in una azienda agricola, dove si faceva il vino e l'olio e dove durante le vendemmie, mia sorella ed io eravamo le addette al beveraggio.
Portavamo l'acqua fresca presa alla fontana agli operai che lavoravano fra le vigne durante le ore più calde del giorno.
A volte le scorciatoie che intraprendevamo attraverso i campi, ci presentavano incontri ravvicinati non proprio divertenti, come quella volta che siamo state inseguite da un serpente frustone.
Tanta paura e tanto ridere che ancora lo ricordo.
Crescendo, intorno ai 20 anni qualsiasi giovane della nostra provincia, metteva da parte una piccola fortuna facendo la vendemmia.
Se lavoravi per più di una settimana, e spesso in base alla grandezza della azienda in cui venivi preso, i giorni erano tra i 10/14, potevi guadagnare tanto per pagarti l'Università e qualche sfizio, sentendoti finalmente autonomo.
Ma che fatica!
Se proprio devo dirla tutta, la fatica più grande in vita mia l'ho fatta per due cose: la vendemmia ed i traslochi!
Se c'era il sole, mal di niente: un po' di sete, caldo e vespe golose che scacciavi con la mano guantata.
Ma se pioveva...ussignur!
Si vendemmiava anche sotto l'acqua, con gli stivali che affondavano nel fango trascinando chili di terra come nel peggiore degli incubi.
Chinati per recidere i grappoli con lo scopo di riempire più casse possibile, si rientrava a casa la sera abrutiti, distrutti, sporchi di terra fino ai capelli e con un unico pensiero: domani non ci vado!
Poi la sveglia suonava di nuovo prestissimo e tu alzavi, indossavi la tenuta da combattimento e ricominciavi da capo fino al tramonto.
La vendemmia si concludeva con una grande festa: su larghe tovaglie stese sul prato compariva ogni genere di bontà casalinga: salumi, panini superfarciti, torte e ciambelle ancora calde, crostate di more e fichi, fiumi di vino.
Qualcuno tirava fuori la fisarmonica e tutta la stanchezza si volatilizzava inseguendo le note allegre dei maggi e delle canzoni popolari.
Una ciambella che racchiude tanta storia legata alla meravigliosa città di Lucca.
Le sue origini sono anteriori al XV secolo e ne ho ampiamente parlato in un articolo comparso su A Tavola del settembre scorso.
Se vi capita di passare da Lucca in qualsiasi periodo dell'anno, lo potrete incontrare dietro qualunque vetrina di pasticceria o forno tradizionale, ma è proprio in questo periodo che diventa protagonista sulle tavole cittadine: per la festa Dell'Esaltazione della Santa Croce e del Palio della Balestra.
Il suo profumo di anice è il simbolo stesso della festa ed è proprio questa rustica ciambella che conclude degnamente qualsiasi pranzo celebrativo.
Non può mancare un bicchierino di Elisir di China Massagli per accompagnarlo, ma solo i veri intenditori lo conoscono.
Ecco, oggi vi ho svelato un segreto di Lucca.
Un famoso detto lucchese racconta: Chi viene a Lucca e non mangia il Bucellato, è come non ci fosse mai stato!
Ingredienti per una ciambella di c.ca 700 g (8 persone)
500 g di farina 0 120 g di zucchero + 2 cucchiaini 10 g di lievito di birra 50 g di burro a temperatura ambiente 80 g di uva passa 2 uova + 1 tuorlo la scorza di 1 limone non trattato 130 ml di latte a temperatura ambiente 1 cucchiaio di semi di anice un pizzico di salePS: Buon Anniversario Amore mio! :D