Il bullismo è un fenomeno sempre più presente nel nostro tempo e può essere definito come: “un’azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare, spesso è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittima” (Sharp e Smith,1995).
La principale caratteristica comune ai bulli è il comportamento aggressivo verso gli altri, sia adulti, sia coetanei. Essi amano scontrarsi coi ragazzi più deboli, da cui possono facilmente difendersi, ma litigano senza paura anche con gli altri, perché si sentono forti e sicuri. Sentono il bisogno di dominare perché vedono la violenza come qualcosa di positivo e sono spesso impulsivi. Hanno un’opinione positiva di sé ed hanno scarsa empatia verso le vittime. E’ stato notato che dietro al loro comportamento aggressivo, nascondono insicurezza e ansia.
Vi è anche: il sottogruppo tra i bulli; definiti bulli passivi, che corrispondono a coloro che seguono e rispettano il capo bullo e che preferiscono vedere la violenza fatta da altri.
E’ stato studiato come spesso il bullo è generato dall’ambiente famigliare, “dall’aria che si respira in casa”. Diversi autori ( Patterson e Capaldi, 1985; Patterson e Dishion, 1987; Patterson e Dishion,1985; Molina e Pelham, 2003) hanno individuato tra i fattori di rischio, per lo sviluppo di comportamenti devianti nell’adolescenza, i seguenti:
• Scarse competenze educative dei genitori ( incoerenza, lasciar fare, estrema criticità, disciplina negativa, espressioni di ostilità, uso duro di punizioni fisiche, abusi, aggressività);
• Problemi psichiatrici dei genitori;
• Elevata conflittualità genitoriale;
• Basso reddito;
• Comportamenti antisociali o tossicodipendenza dei genitori;
• Scarso coinvolgimento dei genitori nelle esperienze scolastiche dei figli;
• Gravidanza precoce;
• Precoce presenza di disturbi del comportamento (come il disturbo della condotta ed il disturbo oppositivo – provocatorio ) nei bambini;
• Presenza del disturbo da deficit di attenzione e iperattività nei bambini (ADHD).
Tutto questo, ossia che il bullismo ha ascendenti genitoriali, lo sostiene una ricerca svolta in Australia, alla Queensland University of Technology dalla professoressa Marilyn Campbell della facoltà di Scienza dell’Educazione, che argomenta: «Quando i bambini vedono violenza tra le mura domestiche, che si tratti di un abuso fisico o emotivo, imparano che il potere della sopraffazione può essere usato per avere la meglio. Se i genitori, magari a cena, parlano dei loro comportamenti da bulli al lavoro, i figli lo registreranno come un metodo per arrivare ad avere quel che vogliono». È proprio per questa responsabilità familiare che le strategie anti-bullismo e le punizioni scolastiche non possono funzionare da sole, se non sono accompagnate da una radicale modifica dei comportamenti familiari sul tema. In generale, sostiene la professoressa, le punizioni esemplari non funzionano mai. Meglio tentare con metodi differenti, che provino a suscitare nel bullo quell’empatia con il prossimo che a loro manca (fonte www.corriere.it).
Sia per i maschi che per le femmine l’ambiente in cui vivono è determinante. I comportamenti aggressivi risultano un fattore di prevedibilità più potente per i maschi che per le femmine. Infatti, si è osservato che le femmine manifestano, più frequentemente, comportamenti di aggressività simil bullismo, come canzonare con violenza i più deboli o i più piccoli.
Come sottolineato dalla prof. Marilyn Campbell insegnare ad essere empatici, altruisti, verso gli altri aiuterebbe a combattere il bullismo. Infatti, la ricerca ha individuato tra i fattori protettivi nell’infanzia per lo sviluppo di disturbi del comportamento, che come abbiamo visto divengono la base per il futuro sviluppo deviante nell’adolescenza, i seguenti elementi ( Hastings et al. 2000 ):
• L’interesse per gli altri;
• L’empatia;
• Una relazione positiva, calda ed empatica madre-figlio;
• Le competenze sociali;
• I comportamenti prosociali
I ricercatori sono sempre più concordi nell’indicare dei chiari percorsi d’azione per prevenire e fermare queste problematiche:
1. Attivare programmi d’intervento precoci e preventivi;
2. Attivare programmi precoci di formazione per i genitori per migliorare la loro competenza educativa;
3. Elaborare e realizzare programmi educativi nell’infanzia, che prevedano l’insegnamento di abilità quali l’empatia e l’autocontrollo;
4. Educare alla pro-socialità (vedi www.prosocialità.it);
5. Formare gli insegnanti, realizzare programmi educativi e formativi già dalla scuola dell’infanzia.
Si evince, soprattutto parlando di capacità empatica e di autocontrollo, che i genitori dovebbero guardare prima il proprio comportamento, per poter educare correttamente i figli.