L’ignaro Giles, trasformato in eroe nazionale dalla sera alla mattina, si adatta presto alla sua posizione, senza perder di vista, però, il proprio guadagno e il proprio lavoro di agricoltore. E’ una creatura scaltra, ma immune alle lodi del successo facile. Tuttavia, l’eco di queste gesta, e soprattutto della ricchezza presunta del villaggio e della zona di Ham, arrivano anche alle orecchie di un drago. Tolkien puntualizza che in quell’epoca i draghi scarseggiavano parecchio nell’isola, tant’è che i cavalieri del re facevano fatica a trovarne uno con cui misurarsi; e questo, unito al fascino della vita di corte, li fece rammollire alquanto, nel corso degli anni. Il drago che si mostra interessato alla zona di Giles si chiama Chrysophylax Dives: di lignaggio imperiale, ricchissimo, scaltro, ma non troppo coraggioso. E anche piuttosto infido (come tutti i draghi, del resto), come dimostra già dalle prime schermaglie con Giles. Se Smaug era potente, temibile, e vanesio e un po’ cialtrone, questo Chrysophylax è ancora più caricaturale. Tolkien lo descrive come di aspetto imponente e massiccio, capace di incutere terrore. Ma non appena gli fa aprire bocca...il lettore scoppia a ridere. Da Smaug si trasforma in Pulcinella: preoccupato della sua incolumità, si mette a mercanteggiare come un pescivendolo al mercato con Giles, che pure è un campione imbattuto nel campo, e si fa inseguire come una lepre da una giumenta irritata ed esasperata, al punto da superare il naturale terrore che i draghi ispirano agli altri animali. La vicenda, tuttavia, finisce molto bene per tutti i protagonisti principali, dall’agricoltore, che diventa sovrano, al drago,che vive tranquillo e riverito per molti anni ancora, al cane Garm, che ricco d’un bellissimo collare d’oro, se ne va in giro a pavoneggiarsi esigendo tributi e ammirazione da parte degli altri cani. Qui, Tolkien si diverte ancora di più, rispetto a Lo Hobbit, a sovvertire tutte le atmosfere e le caratteristiche dell’antica poesia epica. Il suo sguardo si posa su un agricoltore, scaltro e capace, con un grandissimo nome roboante, ma pur sempre un contadino. Un po’incosciente, ma sempre pronto a rovesciare a proprio favore ogni situazione. In Italia lo chiameremmo già Bertoldo. Il suo cane, parlante come nella maggior parte dei miti, è un furbacchione con molto senso del tempismo: è lui che avvista il gigante, che s’imbatte nel drago per primo, ed è lui che spinge il suo padrone, suo malgrado, a coprirsi di onori. Si avvicina ad un Arlecchino, per un certo modo di fare furbesco, per quanto Garm sia meno calcolatore, ma molto catalizzatore di possibili disgrazie. Il drago ha un nome altrettanto pesante e impronunciabile dell’agricoltore, forte e potente, ricco e di antico lignaggio, ma pusillanime, negoziatore e infido. Della sapienza magica, misteriosa e inquietante, al limite della negromanzia, tipica dei draghi epici, si sono perse le tracce nel buffo Chrysophylax. Finge noncuranza e disinteresse quando un arrabbiatissimo Giles gli si para davanti, esasperato da una lunga ricerca, e dalla mancata ottemperanza di un accordo (da parte del drago), ma quando si accorge di una particolare arma (dal nome evocativo di Mordicoda) nelle sue mani, è pronto a profondersi in scuse e a mercanteggiare per la sua vita. La stessa giumenta di Giles, stanca ed esasperata, riesce a metterlo in difficoltà. Il re, i suoi cavalieri, e i compaesani dell’agricoltore (tra cui spiccano il pievano e il mugnaio, suoi rivali) formano il coro di umanità in sottofondo, con occasionali puntate in primo piano quando il re strepita per avere il tesoro del drago e l’obbedienza cieca di Giles. Tutti, però, sono un pretesto per Tolkien per mettere in evidenza i difetti, piuttosto che i pregi, degli esseri umani. Il re è poco più di un damerino arrabbiato, in confronto ai grandi re eroi dei carmi norreni. I cavalieri sono altri damerini rammolliti, occupati a confrontare i materiali e le lunghezze delle loro cinture, piuttosto che intenti a esercitare muscoli e coraggio in tenzoni, cacce al drago, duelli all’ultimo sangue. Più che una semplice banalizzazione della grande epica, però, Tolkien volge uno sguardo affettuoso sul popolo dei trascurati da questa forma narrativa, rendendoli suoi protagonisti preferenziali, così come farà nel Signore degli Anelli. Accanto a grandi maghi, valorosi re in incognito, elfi e nani grandi combattenti, Tolkien fa viaggiare il piccolo popolo degli Hobbit, e in prima fila, con un incarico pesante come quello di portare un anello del potere. Poiché erano già stati scritti abbondanti versi, in diversi paesi in Europa, sugli scontri tra uomini e draghi, Tolkien deve essersi chiesto: come si comporterebbe un agricoltore, per esempio, davanti ad un drago? Il titolo originario dell’opera, in effetti, è proprio Farmer Giles of Ham...:-D
Il Cacciatore di Draghi – Una favola buffa e irriverente
Creato il 15 luglio 2013 da Loredana GasparriL’ignaro Giles, trasformato in eroe nazionale dalla sera alla mattina, si adatta presto alla sua posizione, senza perder di vista, però, il proprio guadagno e il proprio lavoro di agricoltore. E’ una creatura scaltra, ma immune alle lodi del successo facile. Tuttavia, l’eco di queste gesta, e soprattutto della ricchezza presunta del villaggio e della zona di Ham, arrivano anche alle orecchie di un drago. Tolkien puntualizza che in quell’epoca i draghi scarseggiavano parecchio nell’isola, tant’è che i cavalieri del re facevano fatica a trovarne uno con cui misurarsi; e questo, unito al fascino della vita di corte, li fece rammollire alquanto, nel corso degli anni. Il drago che si mostra interessato alla zona di Giles si chiama Chrysophylax Dives: di lignaggio imperiale, ricchissimo, scaltro, ma non troppo coraggioso. E anche piuttosto infido (come tutti i draghi, del resto), come dimostra già dalle prime schermaglie con Giles. Se Smaug era potente, temibile, e vanesio e un po’ cialtrone, questo Chrysophylax è ancora più caricaturale. Tolkien lo descrive come di aspetto imponente e massiccio, capace di incutere terrore. Ma non appena gli fa aprire bocca...il lettore scoppia a ridere. Da Smaug si trasforma in Pulcinella: preoccupato della sua incolumità, si mette a mercanteggiare come un pescivendolo al mercato con Giles, che pure è un campione imbattuto nel campo, e si fa inseguire come una lepre da una giumenta irritata ed esasperata, al punto da superare il naturale terrore che i draghi ispirano agli altri animali. La vicenda, tuttavia, finisce molto bene per tutti i protagonisti principali, dall’agricoltore, che diventa sovrano, al drago,che vive tranquillo e riverito per molti anni ancora, al cane Garm, che ricco d’un bellissimo collare d’oro, se ne va in giro a pavoneggiarsi esigendo tributi e ammirazione da parte degli altri cani. Qui, Tolkien si diverte ancora di più, rispetto a Lo Hobbit, a sovvertire tutte le atmosfere e le caratteristiche dell’antica poesia epica. Il suo sguardo si posa su un agricoltore, scaltro e capace, con un grandissimo nome roboante, ma pur sempre un contadino. Un po’incosciente, ma sempre pronto a rovesciare a proprio favore ogni situazione. In Italia lo chiameremmo già Bertoldo. Il suo cane, parlante come nella maggior parte dei miti, è un furbacchione con molto senso del tempismo: è lui che avvista il gigante, che s’imbatte nel drago per primo, ed è lui che spinge il suo padrone, suo malgrado, a coprirsi di onori. Si avvicina ad un Arlecchino, per un certo modo di fare furbesco, per quanto Garm sia meno calcolatore, ma molto catalizzatore di possibili disgrazie. Il drago ha un nome altrettanto pesante e impronunciabile dell’agricoltore, forte e potente, ricco e di antico lignaggio, ma pusillanime, negoziatore e infido. Della sapienza magica, misteriosa e inquietante, al limite della negromanzia, tipica dei draghi epici, si sono perse le tracce nel buffo Chrysophylax. Finge noncuranza e disinteresse quando un arrabbiatissimo Giles gli si para davanti, esasperato da una lunga ricerca, e dalla mancata ottemperanza di un accordo (da parte del drago), ma quando si accorge di una particolare arma (dal nome evocativo di Mordicoda) nelle sue mani, è pronto a profondersi in scuse e a mercanteggiare per la sua vita. La stessa giumenta di Giles, stanca ed esasperata, riesce a metterlo in difficoltà. Il re, i suoi cavalieri, e i compaesani dell’agricoltore (tra cui spiccano il pievano e il mugnaio, suoi rivali) formano il coro di umanità in sottofondo, con occasionali puntate in primo piano quando il re strepita per avere il tesoro del drago e l’obbedienza cieca di Giles. Tutti, però, sono un pretesto per Tolkien per mettere in evidenza i difetti, piuttosto che i pregi, degli esseri umani. Il re è poco più di un damerino arrabbiato, in confronto ai grandi re eroi dei carmi norreni. I cavalieri sono altri damerini rammolliti, occupati a confrontare i materiali e le lunghezze delle loro cinture, piuttosto che intenti a esercitare muscoli e coraggio in tenzoni, cacce al drago, duelli all’ultimo sangue. Più che una semplice banalizzazione della grande epica, però, Tolkien volge uno sguardo affettuoso sul popolo dei trascurati da questa forma narrativa, rendendoli suoi protagonisti preferenziali, così come farà nel Signore degli Anelli. Accanto a grandi maghi, valorosi re in incognito, elfi e nani grandi combattenti, Tolkien fa viaggiare il piccolo popolo degli Hobbit, e in prima fila, con un incarico pesante come quello di portare un anello del potere. Poiché erano già stati scritti abbondanti versi, in diversi paesi in Europa, sugli scontri tra uomini e draghi, Tolkien deve essersi chiesto: come si comporterebbe un agricoltore, per esempio, davanti ad un drago? Il titolo originario dell’opera, in effetti, è proprio Farmer Giles of Ham...:-D
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