Perchè non dirlo, sono emozionato. Tra pochi mesi uscirà il mio nuovo libro "Il cacciatore di ombre" edito nella splendida collana Off the road della Vallecchi. Un viaggio insieme a Don Patagonia. Ho sempre pensato che le storie di viaggio non siano mai storie personali.Almeno, non sono storie solo personali. Come dire, sono come un bene comune, su cui tutti possono accampare qualcosa. Almeno la gioia della condivisione.Vale anche quando le parabole di vita sono distanti tra loro, magari accomunate solo da quel desiderio di scoprire e di conoscere nuovi mondi. Che poi non è un brutto punto di partenza, questo pianeta immenso da leggere con la nostra voglia di non stare fermi. Un pianeta fatto apposta per noi, perché a tutti, in fondo, è rimasta la natura del nomade, anche al più stanziale tra noi. Si tratta solo di risvegliarla, di alimentarla.Serve a questo, l'immaginazione. Serve come l'acqua mescolata alla farina e al lievito per farne pane.Ci sono così tanti sogni in giro per il mondo.Serve senza preoccuparsi troppo del tempo e dello spazio che prova a separarci, tanto anche le storie più distanti possono camminare insieme.E scoprire che non sono per niente distanti.Come questa storia, per esempio. Una distanza che si tramuta in condivisione. Un viaggio insieme che è anche un viaggio nel tempo.Con il tempo che in fondo conta il giusto. Non troppo. Perché quello che conta è cosa successe veramente. O anche quello che poteva succedere.Innanzi tutto è giusto fissare un inizio. Di questo hanno bisogno le storie, anche se quasi sempre l'inizio è incerto, sfumato. E anche se forse i migliori inizi sono proprio quelli che danno l'idea di essere qualcos'altro.Tanto c'è sempre qualcosa di arbitrario nel modo con cui si comincia. Proverò a stabilire questo inizio partendo dalle carta geografica. Si può arrivare anche così al tempo.E allora, c’è questo lembo di terra che si affaccia nello stretto di Magellano per poi frantumarsi, oltre lo stretto, in una miriade di piccole isole e fiordi gelati.Quando lui è arrivato qua, era poco più di un ragazzo, però aveva la consapevolezza della grande distanza. Un giovane prete della congregazione dei missionari salesiani che sta per incominciare una nuova vita. Corre l'anno 1910 e questa è la Terra del Fuoco.Un viaggio che ti porta lontano, magari in un paese fatto di lontananze, d’incontri rarefatti, di silenzi, un viaggio come in Patagonia o in Terra del Fuoco, aiuta a riordinare le priorità della vita, di tutta la vita. Allora è questo che avrà pensato: un viaggio è così, soprattutto quando arrivi al confine ultimo del mondo e delle cose. Perché questa è una terra ignota, per lo più ancora da scoprire, percorsa dal vento e dal gelo, abitata da sparuti gruppi di indigeni e da una pessima comunità di avventurieri, finiti in fondo al mondo per le ragioni più disparate. Gente che per lo più ha vissuto quaggiù le proprie solitudini trasformando sovente i giorni in cattive azioni.La Terra del Fuoco.Un secolo più tardi, anno più anno meno, anch'io ho camminato ai piedi di queste montagne, di questi ghiacciai di una bellezza sconvolgente.E ho ripensato a lui, al giovane prete, che a dorso di mulo raggiungeva i lontani accampamenti che, giusto all’inizio del secolo scorso, si preparavano a dissolversi. Che si avventurava su fragili barche che sfidavano le burrasche dell’ultima acqua della terra e dell’oceano. Che raggiungeva lo Hielo Continental, il grande cuore ghiacciato della Patagonia. Gli capitava spesso di pensare che c’è sempre un luogo che ti aspetta e che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Non finiva di sorprendersi.Con i suoi racconti ha portato anche me dentro un mondo magico.
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