Il campanello da suonare

Creato il 27 novembre 2015 da Gadilu

La cronaca ci ha condotto nel mondo del Jihad meranese, mostrandoci i campanelli delle abitazioni alle quali avremmo potuto in precedenza suonare per farci tradurre le parole che adesso, a posteriori, spiamo dalle lunghe trascrizioni degli inquirenti. Tutte le tragedie – reali, sventate o anche semplicemente immaginate – sono sempre il frutto tardivo di una serie di atti mancati, lo squarcio nella rete dell’abitudine che credevamo a prova di bomba (qui l’espressione va purtroppo presa alla lettera).

Dopo i fatti di Parigi la macchia dell’insicurezza, provocata dall’efficace strumento del terrore, si è allargata intorno a un quesito di fondo: com’è possibile avere ancora fiducia nella convivenza se permane il sospetto radicale su ciò che accomuna lo sterminatore suicida di innocenti e il semplice credente in Allah? Fare di tutta l’erba un fascio è un moto fin troppo istintivo, per non parlare di chi è pronto a suscitare interpretazioni di comodo. L’Islam – ha chiesto su Facebook ai suoi affezionati Matteo Salvini – è compatibile con la democrazia? E poco prima, brandendo la medesima accetta concettuale, Andreas Pöder aveva anticipato la risposta in modo conforme: “Der Islam gehört nicht zu Europa. Der Islam zerstört Europa” (l’Islam non appartiene all’Europa. L’Islam distrugge l’Europa).

Se l’illazione generalizzante deve essere ripudiata, perché contraddetta dai milioni di musulmani pacifici o anch’essi vittime della violenza islamista, non è invece inutile indagare i processi, sia psicologici che sociali, capaci di portare l’innocuo osservante a trasformarsi in un cieco assassino. Il giornalista Domenico Quirico, in un libro che ricostruisce il profilo del “Grande califfato”, ha scritto: “In Francia, in Gran Bretagna i guerrieri partiti dalle banlieue per le katibe, le brigate, della guerra civile siriana sono la seconda, la terza generazione di immigrati: i loro nonni, forse ancora i loro padri uccidevano il montone per far festa il giorno in cui riuscivano, scavalcando reticolati che abbiamo posto all’ingresso del nostro paradiso, a ottenere il pezzo di carta, l’autorizzazione, la cittadinanza. Molti dei nipoti, sempre di più, non vedono l’ora di rifiutarci, di tornare indietro a cercare Dio. Contro di noi”.

Non potremo mai riavere alcuna sicurezza se non saremo in grado di impedire una tale degenerazione, se cioè ritarderemo il suono gentile di un campanello perché convinti che l’unica soluzione ormai possibile sia quella del calcio di un poliziotto armato su una porta già chiusa da sempre.

Corriere dell’Alto Adige, 27 novembre 2015