Il cancro della società è il cancro

Creato il 21 ottobre 2013 da Abattoir

Immaginate di dovervi alzare tutte le mattine e respirare. Immaginate di dovervi sedere tutti i giorni e mangiare. Immaginate di dovervi ammalare per vivere. Non perché i vostri geni siano malati, non perché il vostro stile di vita sia più o meno sbagliato; semplicemente mangiando, bevendo e respirando.
Il nuovo male che soffoca la società. Dopo l’HIV, che ha sconquassato i favolosi anni ’80-’90, dopo lo Zoo di Berlino e l’eroina, dopo la paura di toccare una persona per rischiare di prendere l’AIDS, oggi si muore per molto meno, oggi si muore per il semplice fatto di essere vivi.
Noi, generazione di Černobyl’, noi che abbiamo visto e continuiamo a vedere i nostri cari cadere usurati da dentro, da un male incurabile, dal cancro. I soldati muoiono con l’uranio impoverito, i cittadini di Taranto con le polveri di ferro, tutto ciò che ci circonda possibilmente è canceroso e ci ucciderà. Fare il bagno accanto al porto, respirare l’aria nei pressi di un aeroporto, andare a lavoro in bicicletta in mezzo al traffico. Senza poi contare i residui di metalli pesanti presenti nel nostro cibo.

È così, stiamo morendo poco a poco, degradando le nostre viscere dall’interno. Semplicemente nutrendoci di quello che ci offre la società. Acqua contenuta nella plastica o acqua piovana, sempre inquinata è! Puoi farti il tuo piccolo orto sotto casa senza pesticidi, puoi scegliere di non comprare la merce delle multinazionali del cazzo: stronzate! Le polveri sottili si depositeranno ugualmente sulle tenere foglioline di lattuga del tuo orto, la farina senza marca che compri per boicottare la grande multinazionale altro non è che lo scarto industriale del mangime per uccelli o che cazzo ne so! Ci nutriamo di scorie, beviamo colloidi tossici! È un dato di fatto, non è un complotto, non sono gli alieni, non è qualcosa di segreto: è il capitalismo, è la produzione di massa, è la globalizzazione!

Insomma, nessuno ci tutela e non possiamo tutelarci. Certo, una vita sana e morigerata potrebbe senza dubbio diminuire la possibilità di ammalarsi. Non bere, non fumare, non dire le parolacce. Ma c’è invece chi, rispettati i canoni cattolici del corretto vivere, si becca un bel tumore proprio lì, dove meno te lo aspetti. Tumore ai polmoni senza aver fumato una sigaretta, cancro al cervello senza aver pensato troppo!
Dopo una vita di lavoro, arrivi a 60 anni e te ne diagnosticano uno perché un giorno pisci sangue, o starnutisci strani grani marroni! È così che inizia la trafila di un malato di tumore. È così che un dottore, guardandoti dritto in faccia ti dice che sei malato. È così che circa il 4% della popolazione italiana ha avuto la diagnosi di un tumore. Cominci a sentire parlare di carcinoma, di neoplasia, cominci a capire che ci potrebbero essere delle soluzioni ma che queste comportano delle atroci sofferenze. Cominci a capire che, nonostante la tua vita morigerata, ti sei beccato qualcosa che ha cominciato a far impazzire le tue cellule. E te lo immagini, lì, quel minuscolo pezzettino di piombo che viene inglobato della cellule del tuo corpo che iniziano a chiedersi: ma che cazzo ci fa questa cosa qui? Ed è in quel momento, quando ancora stai bene, che la tua vita inizierà a cambiare per sempre!
Quando dai l’ok per iniziare una cura, per farti asportare una parte di te, quando vivi ancora nella speranza di guarire, è lì che hai la più grande illusione del mondo: io sconfiggerò il male (anche a costo di farmi del male)! E via di chemioterapia, e via di radioterapia, e via di altre sostanze tossiche che non fanno altro che uccidere e rincoglionire anche quelle cellule che stavano bene. E si inizia a contare i globuli bianchi rimasti vivi e attivi dopo un bel ciclo di chemio, e inizi a contare i capelli che rimangono sulla tua testa; inizi a chiederti se tutto questo vale la pena per stare qualche attimo in più su questa terra.

Certo, il limite è sottile tra chi decide di intraprendere l’unica cura disponibile al momento per poter fare una vita più o meno tranquilla e chi invece magari decide che non ne vale la pena: sempre ne vale la pena. Sempre e comunque bisogna lottare per la vita. Così come mangiamo per ucciderci, lo stesso vale per la cura. Lottiamo disgustati e affranti per gioire al matrimonio di un figlio, per giocare un po’ con la propria nipotina, e c’è immensa forza in chi decide di andare avanti comunque, nonostante sia forse più facile dire “basta”!

Alla fine, perché si arriva sempre alla fine, prima o dopo, alla fine non c’è altro che la sofferenza. Certo vivere con il peso della morte per anni, per tanti anni, non è facile e puoi prenderla con filosofia oppure con preoccupazione, che si tramuta inevitabilmente in oppressione, depressione, ansia, paura. Si muore come si nasce, il corpo degenera in tutte le sue funzioni fino a raggiungere una grave forma di deperimento organico chiamato cachessia. Si muore poco a poco tra incredibili dolori, si muore strafatti di oppioidi che per pochi istanti nascondono i dolori e la lucidità. Quella stessa lucidità che ti rende conscio fino all’ultimo minuto, che ti rende partecipe del tuo deperimento, della tua lenta agonia.
Tutti dobbiamo morire e tutti moriremo. Tutti dobbiamo soffrire in un modo o nell’altro e tutti lo faremo. Quello che forse ci è dato scegliere è se restare o meno inerti a tutto quello che ci succede. Siamo così presi dai nostri telefonini da non renderci conto che le onde elettromagnetiche ci stanno trapassando il cervello friggendo le cellule al suo interno. Siamo così presi dallo stress quotidiano che non riusciamo più a dire basta. Siamo così coinvolti da una società che non rispecchia più le nostre esigenze umane da costringerci ad andare dallo psicologo per una crisi di panico generata dallo stress da traffico o da un capo troppo pretenzioso. Perché troppo pretenziosa è la vita che si complica intorno a noi e che ci complica dentro di noi. Perché oggi è troppo pretenzioso andare a lavoro e non rischiare la salute, è pretenzioso tornare a casa e ingurgitare i nostri yogurt light senza zucchero pieni di aspartame!
Che il livello di complessità sia proporzionale al miglioramento del nostro stile di vita?
Io dico soltanto che prima… stavomenomale!


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