L’editore francese, prima così impaziente di vedere i nostri progetti e che aveva garantito una decisione entro la scorsa settimana, tace. La segretaria, venerdì scorso, ha detto che sono stati molto impegnati con l’edizione francese e hanno duvuto accantonare momentaneamente la discussione sul nuovo progetto. Però, afferma che sono persone serie e, comunque vada, non è nel loro stile o filosofia non dare notizie, buone o cattive che siano.
Sarà, ma pare che nel frattempo si sia aggiunta un’altra struttura alla gara. E per come vanno le cose negli ultimi tempi, saremmo capaci di perdere una gara anche se fossimo gli unici concorrenti. Io comunque avevo già scritto il coccodrillo per l’ennesimo progetto perso. È lì, sulla scrivania del computer; non aspetta altro che una mail o una telefonata, per apparire su questo blog. Spesso mi chiedo se, dopo trent’anni che mi sono mantenuto con questo schifo di lavoro, davvero non sia più capace di inventarmi qualcosa di creativo, di concorrenziale, di professionale.
Sono pensieri che capitano; aver infilato una delusione dopo l’altra, non è il modo migliore per accrescere la fiducia in sé stessi. E una fra le cose che mi brucia di più, è l’essere stato segato addirittura dalla società che produce software gestionali. Una misera realtà da meno di un milione e mezzo di euro di fatturato annuo con quaranta dipendenti. Poco più che cantinari smanettoni che, per interposta persona, si dichiarano laconicamente non interessati alle mie proposte, senza nemmeno una motivazione, o una spiegazione più intelligente di “Non è piaciuto”.
E purtroppo nutro anche la frustrazione di non poter nemmeno mostrare la mia proposta, perché il claim contiene e gioca proprio col nome dell’azienda. Non è bene quindi, che mi renda troppo riconoscibile in un ambiente tanto competitivo e, soprattutto, pieno di invidie e di vendette trasversali. Altro che Mad Men, qui sembra di essere in un film di George Romero; essere corretti o tendere la mano a qualcuno significa farsela mangiare (vedi il grafico zoppo di qualche tempo fa). Comunque non ne faccio una malattia. No, non è vero, ce la faccio eccome. Cerco di essere come Siddharta che non si cura delle traversie della vita, ma non ci riesco. Ogni lavoro che sfuma è come una martellata ai coglioni del mio amor proprio. Ogni delusione incurva sempre più la mia schiena, mi spinge a rintanarmi sempre più in fondo nel buco che altri mi hanno scavato intorno.
Ormai il tempo passa inesorabile, questo blog sta raggiungendo la poderosa prolissità di un Guerra e Pace o un David Copperfield. Ma, al contrario che nei classici, qui non succede mai niente. Non è altro che un canto del cigno prolungato, infinito, inarrestabile. Una malattia terminale che uccide sì, ma in un tempo infinito.
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