Certo chiunque capisce che l’Anticorruzione, Anac in burocratese, potrebbe c’entrare qualcosa nell’esaminare le vicende che hanno portato alla bancarotta morale le quattro banche dello scandalo o per valutare il conflitto di interessi della famiglia Boschi, ma non si vede a che titolo dovrebbe mettere bocca nelle trattative per risarcire almeno in parte gli obbligazionisti fregati. I quali si trovano adesso di fronte alla severa inquisizione del testimonial renziano per capire se hanno comprato le obbligazioni spinti dall’avidità o ingannati dai funzionari delle banche. Proprio come se le due cose fossero in contrasto e non invece in perfetta sinergia, non siano il sale del mercato e come se in ogni caso l’inganno diretto o indiretto non ci fosse stato. Del resto è naturale che sia così: Cantone è ormai molto lontano dalla magistratura e molto vicino alla politica come dimostrano le sue incessanti prese di posizione: fra le tante le critiche a Rosy Bindi sull’affare De Luca, l’indignazione espressa sulla condanna inflitta all’Italia della Corte di Strasburgo per i fatti della Diaz e la mancata introduzione dei reati di tortura, quelle a maggior gloria dell’Expo (un miliardo e 300 milioni di perdita secca, risonanza mondiale zero).
Dunque è a lui che tocca il compito di rassicurare gli italiani con il suo nome e nello stesso tempo di controllare che eventuali spese siano contenute al massimo possibile. Certo non sarà Cantone in persona a condurre le cose, ma la Camera arbitrale in seno all’Anticorruzione, la cui stessa esistenza è di per sé un segno dei tempi. Essa è formata da cinque membri tra cui il presidente Ferruccio Auletta, docente a Napoli e alla Luiss e Alberto Massera con cattedra a Pisa, università notoriamente vicina al governo, sono i due ideologi che marciano sulla strada della sostituzione della giustizia con l’arbitrato e il concordato e della negoziazione strutturale fra poteri pubblici e imprese perché il “diritti naturali” di queste ultime non trovino ostacoli rispetto alle loro “finalità istituzionali, ovvero al profitto.
Gli altri membri sono Ugo Draetta, incappato nel pieno di un conflitto di interessi sulla vicenda Edison – Eni riguardo al petrolio libico, essendo stato nominato dal cane a sei zampe nel collegio arbitrale internazionale, pur essendo lautamente retribuito quale membro del comitato di vigilanza dell’Eni stesso. Mi pare che sia l’uomo giusto al posto giusto per l’ anticorruzione. Poi c’è l’avvocato Giovanni Fabio Licata, difensore del sostituto procuratore Maurizio Musco per i “veleni in procura” a Siracusa. Con Musco, condannato in appello, si è squadernata una rete di pericolosi intrecci, disinvolte amicizie, imbarazzanti rapporti economici, che coinvolgevano i capannoni industriali così come le squadre di calcio. Infine l’ ultimo dei cinque membri Luca Mezzetti, docente a Bologna, è stato implicato assieme a 21 colleghi di 11 università italiane nell’ inchiesta della procura di Bari su concorsi pubblici truccati per docenti di diritto costituzionale, ecclesiastico e diritto pubblico applicato.
Insomma i truffati sono in ottime mani: sarà loro resa giustizia e sarà festa. O forse gli faranno la festa e verrà chiamata giustizia.