In ogni caso, Virzì ci stupisce proponendoci un'opera drammatica, a metà strada tra un giallo e un saggio sociologico. Una storia costruita a cerchi concentrici, i cui dettagli vengono raccontati attraverso i punti di vista di tre personaggi, Dino (Fabrizio Bentivoglio), Carla (Valeria Bruni Tedeschi) e Serena (Matilde Gioli), e che ci svela poco a poco i tasselli di un puzzle le cui tinte si fanno sempre più fosche sul piano emotivo.
Tale struttura narrativa si stringe come un cappio intorno al collo del povero spettatore che, dopo un inizio che strizza l'occhio alla commedia grazie al personaggio un po' macchiettistico di Dino, si trova di fronte a un intreccio in cui nessuno è innocente, ciascuno è portatore - sebbene in maniera differente - di una parte di responsabilità. Alla fine la gola è secca e lo stomaco attorcigliato, perché neppure chi guarda può veramente sentirsi estraneo rispetto al disfacimento morale di un paese.
La vicenda ruota intorno a una brutta sera durante la quale un SUV su una strada di collina, con una manovra brusca, fa andare fuori strada un ciclista provocandone la caduta. L'autista non si ferma a prestare soccorso. Il ciclista (un cameriere) qualche tempo dopo muore.
Intorno a questo SUV le storie di due famiglie: quella dei Bernaschi, finanzieri di alto profilo (Giovanni e Carla e il figlio Massimiliano) e quella dell'immobiliarista Dino (con la seconda moglie Roberta e la figlia di primo letto, Serena).
Ne viene fuori quasi un capitolo del "ciclo dei vinti" di verghiana memoria, con una trista morale che sembra confermare l'immutabilità di dinamiche sociali nelle quali ognuno paga o si avvantaggia in base alla posizione che il destino gli ha riservato, accettandone aspetti positivi e negativi, cui si aggiunge un interessante scandaglio psicologico sulla vastità dei compromessi che ognuno fa con se stesso per ottenere quello che vuole.
Da questo punto di vista il personaggio di Carla è emblematico, e forse anche quello psicologicamente più interessante, perché è un personaggio dolente, che sembra avere spirito critico e insofferenza per gli aspetti deteriori del mondo cui appartiene, ma la cui sofferenza si rivela poco a poco frutto delle sovrastrutture di finzione che attua persino rispetto a se stessa.
Chiuderei con un unico appunto: se dramma doveva essere, allora mi sarei aspettata che Virzì lo portasse fino in fondo, alle sue estreme conseguenze. Le immagini finali su cui si chiude il film in qualche modo ci comunicano che persino la tragedia non appartiene più a un mondo in cui in qualche modo tutti riescono a rimanere a galla, ciascuno in proporzione ai mezzi di cui dispone.
Voto: 3,5/5