Il capolavoro di McIlvanney, “Docherty”, in Italia con paginauno

Creato il 16 giugno 2015 da Temperamente

Quanto è bello vedere che William McIlvanney, pluripremiato e autorevole scrittore scozzese, è stato pubblicato da paginauno, casa editrice indipendente, in quel di Vedano, vicino Monza! Questo è ciò che pensavo l’altro giorno, quando scorrendo le notifiche Facebook ho visto che Walter Pozzi, fondatore della rivista, mi aveva invitato a metter “mi piace” sulla pagina dedicata all’autore.
La curiosità è donna, ma soprattutto nutre il giornalismo; e aldidlà di stima e amicizia, mi è venuto naturale parlare con l’editore per capire cosa fosse successo e come fosse andata questa storia…

Com’è nata la tua passione per McIlvanney?
Ho conosciuto McIlvanney nel 2000, quando l’editore Giovanni Tranchida ha aggiunto lo scrittore scozzese al suo catalogo, già ricco di grandissimi scrittori di valore internazionale (quali: Yashar Kemal, George Mackay Brown, Lyam O’Flaherty, Frank O’Connor, Ibrahim Souss, ,Buten, Sargeson, Shahrnush Parsipur). È stato Carmine Mezzacappa a proporglielo e, in seguito, a tradurne l’opera.
Ricordo che mi sono tate sufficienti le prime venti pagine di Indagine a Glasgow, per rimanere impressionato dall’ampiezza del suo sguardo sul mondo e sulle persone.

Cosa avevi letto di lui prima di deciderti a pubblicarlo con paginauno?
Quasi tutti i romanzi, a parte Docherty e A gift from Nessus che non erano stati pubblicati. Credo che questa sia già di per sé un’ottima ragione per  darlo alle stampe: per leggerlo io, prima di tutto, e per dare un’opportunità ai lettori italiani di conoscerlo. Docherty è stato solo il primo passo di un progetto, tant’è che a novembre, in occasione del Pisa Book Festival – di cui la Scozia sarà il Paese ospite – uscirà anche A gift from Nessus. Stiamo decidendo in questi giorni il titolo della versione italiana.

In Scozia, Docherty è considerato addirittura uno dei dieci romanzi più importanti del Novecento. Che cos’ha di tanto speciale?
È un capolavoro, semplicemente. Racconta, lungo il lasso di tempo di trent’anni, le vicende di una famiglia operaia in una città mineraria toccata dalla prima guerra mondiale e dalle lotte operaie degli anni Venti. Centro della storia è anche l’intera comunità nella quale questa famiglia vive.
Il romanzo rivela tutte le qualità dello scrittore scozzese. A mio avviso, un vero scrittore  deve prima di tutto essere un ottimo osservatore della società prestando particolare attenzione nel descrivere le infinite variabili umane. Leggendo McIlvanney ti accorgi che lui, di queste variabili, ne conosce veramente tante.
La scelta di pubblicare un autore così ricco di immagini e capace di distinguersi per stile e profondità dalla scrittura banale e omologata che oggi affolla le librerie, è ovviamente una scelta culturale, prima ancora che di mercato. McIlvanney ha bisogno di un lettore attivo. Chi lo legge, un po’ di cervello ce lo deve mettere.
Per fare capire cosa intendo, ti riporto un estratto tratto dalle prime pagine di Docherty:

Nella tarda notte del 26 dicembre, una circostanza offrì casualmente una speciale intensità alla sua autocommiserazione. Sul lato opposto della via pavimentata di ciottoli, due finestre a un piano superiore erano ancora illuminate. Dietro a una delle due finestre, la signora Docherty stava per partorire. Quella sarebbe stata la quarta volta. E poteva considerarsi fortunata se era destinata a essere l’ultima. Qui, dove fame e disperazione avrebbero dovuto rendere sterili quasi tutti i matrimoni, la gente sembrava procreare con un’incoscienza quasi vendicativa. A lei risultava chiaro che i peccati dei padre erano i figli.

Come definiresti il suo stile, le sue storie?
McIlvanney racconta le vicende di gente comune, di quella categoria di persone che egli, intitolando con questa definizione una sua raccolta di racconti, definisce “Feriti vaganti”. Parla delle vittime della vita quotidiana che ogni santo giorno cercano di difendere la propria dignità, e che spesso, nel tentativo di non adattarsi a un sistema che li vorrebbe cinici, indifferenti e lavoratori servili, finiscono per soccombere. In pratica, il loro nemico è il mondo così come è diventato.
Queste vite sono descritte con una scrittura ricca di immagini e di colori. E la loro rabbia, il loro disagio, sono sempre analizzati con sottile ironia. Il brano che riporto qui sotto ne è un esempio. Il protagonista del racconto è Sammy, un giovane sognatore, incapace di adattarsi alla banalità del mondo che lo vorrebbe omologato al gregge. Sua madre e suo padre cercano di farlo alzare dal letto:
E’ tempo che ti alzi. Hai quel colloquio.”
“Che ora è? Ce l’ho nel pomeriggio.”
“Non importa. Chi dorme non piglia pesci.”
“Non mi piace il pesce.”
E poi la voce del padre: “Ne ho abbastanza. Non sei troppo grosso da colpire.”
“Signore e signori, ecco a voi lo Spettacolo del Luogo Comune. Come sapete lo scopo del gioco è parlare il più a lungo possibile senza dire nulla di vostro. I concorrenti di oggi: Peter e Mary Nelson, che si allenano da anni. E ricordate, se fate l’errore di esprimere un solo pensiero originale o usare una forma di parole che non avete letto da qualche parte o preso da qualcun altro, sentirete questo suono… e sarete immediatamente squalificati”

Pare che McIlvanney sia anche un fine poeta. Conosci i suoi versi? Sono reperibili le sue poesie in italiano?
Non ho avuto modo di leggere  e, purtroppo, in Italia nessuno le ha tradotte. E mai saranno tradotte,  probabilmente.

McIlvanney è famoso soprattutto per aver descritto la Glascow degli anni ‘70. Com’è dipinta questa città attraverso le sue parole? E secondo te ci sono delle cose che sono rimasti tali?
Anche in questo caso mi faccio aiutare dall’autore con un paio di descrizioni di Glasgow che aiuteranno a farsi un’idea della sua scrittura e della sua capacità di mostrare la realtà interpretandola:

Se la prese persino con il percorso da fare per tornare a casa: in autostrada fino all’uscita per la galleria del Clyde, poi attraversare il quartiere di Anniesland, infine a sinistra dopo aver lasciato Greater Western Road. Il primo pezzo gli ricordava troppo penosamente quello che avevano fatto alla città che lui un tempo conosceva. Vasri anelli di tangenziale avevano preso il posto del passato. Era come se a un uomo avessero sostituito l’intestino con tubi di plastica. Pensò di nuovo al Gorbals, i suoi caseggiati affollati, il rumore, la sensazione che se ti stiracchiavi troppo nel letto potevi finire con il grattare la testa del vicino. Eppure a lui pareva come una felicità perduta.
Il palazzo di giustizia fronteggia con il piglio dell’ammonimento, il Glasgow Green. Ora il Green è difeso da un cancello e da inferriate, una sorta di cassetta di fiori cittadina che commemora un luogo un tempo più selvaggio. Da quella radice verde le pietre miliari si sono irradiate verso nord, Drumchapel, Maryhill. Springburn, Balornock e Easterhouse; a sud, sull’altra sponda del fiume, verso Pollok, Castlemilk, Rutherglen e Cambuslang – tuttora coinvolte nella medesima contesa fra natura e legge, fra il Green e la corte.

Per rispondere alla tua domanda, quello che McIlvanney ha descritto negli anni ’70 è stato il cambiamento brutale della città, non certo le sue meraviglie che evidentemente sin da allora appartenevano già al passato. Se le cose non sono rimaste uguali a come lui le ha descritte, vista la logica utilitaristiche insita nelle ragioni che esigono il cambiamento di ogni elemento del mondo, probabilmente oggi sono persino peggiorate.

Hai detto che McIlvanney detesta essere definito un giallista e neanche tu ami definirlo tale. Per quale motivo?
Il giallo, che negli ultimi anni l’industria libraria ha mercificato adattando la produzione al dinamismo della logica di consumo, in realtà è un modello di trama a disposizione di chiunque. Poi, c’è chi lo recinta in un genere, e chi, invece, ne fa arte. Molti scrittori importanti l’hanno utilizzato per mettere in evidenza le imposture del potere. E per farlo, hanno scelto di tradire il patto di pace che lega lo scrittore con il lettore di gialli e di storie poliziesche. Si tratta di un patto di matrice compensativa e consolatoria che prevede tre ingredienti dei quali questi frequentatori occasionali del giallo hanno fatto volentieri a meno: una chiarezza del movente dell’omicidio, la rimozione del crimine attraverso l’arresto del criminale, e il dato di fatto che la verità si annidi sempre nella testa di un poliziotto. Regolette atte a rinnovare il patto di fiducia tra lettore e Giustizia, tra lettore e istituzioni.
Il noir ha forse un po’ stemperato la nettezza di questa dinamica, attraverso la figura dell’investigatore privato, anche se raramente gli scrittori di questo genere sono tanto abili da verticalizzare l’analisi partendo dalla violenza di strada sino a risalire le vette del potere, laddove il volto di Lucifero si fa invisibile.
McIlvanney, come ha fatto anche Sciascia in Italia, tradisce questo patto con il lettore. Quello che respiri leggendo le storie dell’ispettore Laidlaw, è l’idea che l’arresto di un ‘criminale’ non rappresenti un momento di vittoria per la società, bensì il suggello della sua sconfitta.


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