Il Capovolto nei menhir
di Desi Satta
I menhir antropomorfi della Sardegna centrale sono tanto affascinanti da commuovere. Sarà che sono nostri, però mi sono sempre sembrati i più belli del mondo. Di certo sono i più enigmatici.
Una visita al museo di Laconi, dove sono stati raccolti i più rappresentativi per evitare che vengano rubati (sic!), restituisce le immagini di figure e categorie espressive lontane nel tempo e però, data la consuetudine con l’arte della prima metà del secolo scorso, geometria, essenzialità, simbolismo, ci sembra di sentirli particolarmente vicini.
A sentire i più, le statue-steli (o steli-menhir), diffuse in un ampio territorio che abbraccia gran parte dell’Europa occidentale, sarebbero falli di pietra, figure essenziali alle quali, a cavallo dell’eneolitico e dentro il primo bronzo, si cominciano ad aggiungere fattezze umane schematiche. Qualche tratto per il volto, talvolta due seni, le braccia, spesso oggetti simbolici indice di posizione sociale: armi (pugnali, accette, spade, archi) abiti splendidamente lavorati, ornamenti, alabarde, animali.
Se si tralascia per il momento il caso sardo, tutti i dettagli delle statue-steli ritrovate in Europa sono stati perfettamente identificati, salvo un caso, quello del famoso “object”, una sorta di corto bastone di cui non si conosce l’uso ma si intuisce il senso: probabilmente una specie di segno di comando, o scettro.
E quelle sarde?
Dei pugnali si è già detto: pugnali sono e restano anche se l’attribuzione al tipo Remedello èproblematica. L’altro curioso simbolo enigmatico (unico anch’esso in tutto il panorama dei menhir antropomorfi) è la raffigurazione del cosiddetto”Capovolto” (fig 1 a sinistra; statua-stele Orrubiu IV). Si tratterebbe di un simbolo derivato da un’immagine antropomorfa col capo rivolto verso il basso, ad indicare il viaggio verso l’aldilà. In altri termini un defunto.
Questa interpretazione deriva da una lettura dei graffiti della cosiddetta “Tomba dell’emiciclio” della necropoli a Domus de Janas di Oniferi (Sas Concas) (cfr. (1), pag 8), mostrati nella fig.2 (essi sono realizzati in corrispondenza del portello di ingresso della tomba, appena più in alto, sulla sinistra).
Il “Capovolto” sarebbe l’antropomoforfo indicato con ‘1’, mentre i graffiti indicati con ‘2’ ne sarebbero un’evoluzione, una semplificazione, che avrebbe dato origine ai simboli riportati a rilievo sui menhir antropomorfi (un caso a parte il simbolo ‘3’ di cui si dirà in seguito). Secondo l’interpretazione corrente, il simbolo 2 sarebbe equivalente all’1, indicherebbe anch’esso il viaggio nell’aldilà del morto. Il ritrovarli in una tomba ne sarebbe una conferma (c’è stato chi ha voluto vedere un parallelo anche con la raffigurazione di Tanit rovesciata in una tomba ipogeica della necropoli di Monte Sirai).
Premesso che le raffigurazioni tombali dell’eneolitico (periodo al quale si riporta la necropoli in oggetto) contengono in genere simboli di rigenerazione (protomi taurine, spirali, denti di lupo), sia l’interpretazione del graffito 1 come un antropomorfo rovesciato, che l’equivalenza 1=2 appaiono deboli.
Parliamo del Capovolto. Se si trattasse effettivamente di un essere umano con il capo rivolto in basso, sarebbe evidentemente maschio, con un pene di lunghezza inusitata di cui non si attestano altre raffigurazioni. In particolare sarebbe ben diverso dall’antropomorfo a testa rotonda inciso su un peso da telaio ritrovato a Conca Illonis e considerato iconograficamente simile, tanto da essere citato come prova della correttezza dell’attribuzione del tipo 1 (fig 2 a sinistra). L’antropomorfo di Conca Illonis è asessuato ed ha il capo rotondo connesso al tronco da un lungo collo (che nel graffito di Sas Concas manca; esiste un tratto verticale che connette la coppella al resto del graffito ma risulta è molto spesso ed iconograficamente incompatibile; né si conosce in quale periodo venne realizzat0 e/o (eventualmente) ampliata).
È vero invece che sono attestati (si potrebbe dire in tutto il mondo e in tutte le epoche) numerosissimi antropomorfi caratterizzati dalla presenza di una coppella in mezzo alle gambe e sono interpretati dalla totalità degli esperti (ad esempio: E. Anati, I Camuni, Jaka Book 1982) come antropomorfi femminili, essendo la coppella una raffigurazione della vagina. In tutta evidenza, se si prescindesse dalla presenza dei simboli di tipo 2 e 3, qualunque esperto di graffiti neolitici/eneolitici non potrebbe che interpretare l’antropomorfo 1 come una figura femminile, intendendo in questo caso che il tratto verticale in alto non indica un pene bensì la testa. Le grandi dimensioni della coppella, potrebbero essere riferite a due eventualità: da una parte la possibilità che sia stata ampliata nel corso degli anni durante riti di rigenerazione che prevedessero un’azione meccanica sulla cavità (intendendo con questo una nuova nascita del defunto), oppure che si tratti di un parto simbolico, di un nuovo essere che esce dall’utero della terra dopo essere stato da essa inghiottito, attraverso il portello della tomba. Non può essere escluso, infine, che i graffiti siano stati deteriorati da azione meccanica deliberata nel corso degli anni (non ultima l’abitudine riprovevole di ripassare i graffiti col gesso!).
Altrettanto problematica appare la sintesi del “Capovolto” nel graffito di tipo 2. Attraverso quale meccanismo simbolico si sarebbe scelto di rappresentare il morto unendo la testa alle gambe ed al pene, piuttosto che conservando testa e braccia, con eventualmente una porzione del torso?
Bisogna ricordare, che graffiti di esseri umani “dimezzati” sono ben attestati nell’eneolitico/bronzo della Valcamonica (Anati, op. cit. fig 3). Essi sono rappresentati da un “mezzo” antropomorfo di cui si conserva la testa e le braccia; queste però incorniciano la testa e non si trovano dalla parte opposta (come sarebbe il caso dei graffiti di Sas Concas). L’interpretazione corrente, li vorrebbe simboli di spiriti (entità soprannaturali o defunti) e non sono mai rappresentati con la testa in basso.
Se poi osserviamo i graffiti tipo 2a notiamo che essi (simili al tipo 2) sono privi della coppella (ovvero la “testa”nell’interpretazione di Atzeni) ed è presente il caso tipo 2b che è chiaramente una protome taurina (simbolo di rinascita e potenza sessuale).
In conclusione, l’ipotesi che il simbolo sui menhir antropomorfi sia un “Capovolto”, si basa:
1) Sull’interpretazione che il graffito tipo 1 sia un capovolto;
2) Sull’ipotesi che il tipo 2 sia anch’esso un capovolto (ma su quali basi?);
3) Su una mancanza di spiegazione in merito alla presenza dei simboli di tipo 2a e 2b (cosa sarebbero?)
Per quanto riguarda i simboli di tipo 3 (attestati anch’essi nei menhir antropomorfi, sebbene più rari) ancora una volta, non si spiega per quale motivo, se davvero si trattasse di antropomorfi capovolti, dovrebbero avere le braccia invertite rispetto al tipo 1 (e per di più curve e non squadrate), né per quale motivo in un caso sia presente la coppella (la “testa”) e in un caso no.
Si deve sottolineare, che Atzeni non fa alcuna ipotesi sulla stratificazione dei graffiti di Sas Concas, cioè non dice, ad esempio, se essi derivino da un’unica azione compositiva oppure si siano accumulati nel tempo (ed in tal caso, la “Stilizzazione” del capovolto, cioè la transizione dal tipo 1 al tipo 2 troverebbe una certa consistenza). Poiché tuttavia non esiste alcuna sovrapposizione tra i graffiti, si dovrebbe assumere come prevalente l’ipotesi che essi siano stati realizzati in un unico atto, e dunque rappresentino un “messaggio” simbolico compiuto. In tale eventualità, la riduzione del “Capovolto” al “Tridente” sarebbe di difficile giustificazione.
Si deve anche citare il fatto, che i graffiti antropomorfi isolani sono assai pochi (se confrontati con le decine di migliaia dell’area alpina, ad esempio) dunque è difficile operare su base statistica come avviene con altre realtà più ricche (le alpi Marittime o la Valcamonica). Ancor meno se si restringe l’indagine a quelli presenti nelle Domus de Janas, in cui i graffiti di figure antropomorfe sono molto rari.
Tuttavia, essendo attestati fin dal neolitico commerci (ad esempio di ossidiana) tra l’isola e l’area meridionale francese e ligure - e di conseguenza scambi culturali - non sarebbe inopportuna una comparazione con l’iconografia dei graffiti presenti in quelle aree.
Supponiamo che i “Tridenti” raffigurati accanto all’antropomorfo di tipo 1 non siano una rappresentazione del “Capovolto” (e più in generale che l’antropomorfo 1 sia una figura femminile e non un Capovolto): cosa potrebbero rappresentare?
È bene sottolineare, a scanso di equivoci, che dentro i graffiti protostorici si può vedere di tutto: gli UFO, i marziani, su ballu tundu e su passu torrau, antichi alfabeti, Yahvé. È uno dei settori in cui i pazzoidi e gli amanti della fantarcheologia si sbizzarriscono di più, soprattutto per via del fatto che in mancanza di basi storiche (e per le ovvie difficoltà dell’archeologia nel caso specifico) qualunque scemenza finisce per avere senso nel pubblico dei non addetti ai lavori. Pertanto, da non addetta ai lavori, la mia modestissima critica ad Atzeni vorrebbe essere basata soprattutto su due aspetti: a) la bassa statistica alla base dell’attribuzione, e b) una comparazione con graffiti coevi di altre aree geografiche, con le quali è archeologicamente attestato uno scambio culturale.
In altri termini eviterò accuratamente raffronti con categorie simboliche o artistiche riconducibili al presente, che sarebbe poi l’errore tipico degli “studiosi” de noantri.
Inoltre, per ragioni di spazio, non presento esplicitamente tutte le figure dei tridenti presenti sulle statue-steli; raccomando (per chi fosse interessato) di esaminarli rapidamente, per apprezzare la variabilità della rappresentazione, scorrendo il volumetto di Atzeni disponibile come PDF (1).
Nella fig 1, a destra, ho evidenziato il tridente, suddividendolo nelle due parti, A e B. Propongo un piccolo quesito. Supponiamo di non aver mai sentito parlare del “Capovolto”: cosa ci ricorda la parte B? Prima di rispondere, suggerisco ancora di scaricare dal web il (gradevole) libricino di Atzeni sul museo di Laconi per osservare con attenzione tutte le figure riportate.
Non pretendo che si sia d’accordo con me (mi parrebbe eccessivo!): mi rammentano le corna di un toro, soprattutto per il fatto che in alcuni casi (ad esempio Pranu Maore III, pag 19, Tamadili I, pag 23, Martingiana II, pag 24, Piscina ‘e Sali II, pag 53 ed altri) sono talmente arcuate che arrivano a toccarsi all’estremità. Se si trattasse degli arti (inferiori) di un antropomoforfo, sarebbe l’unica attestazione che si conosca (per quanto ne so) mentre per gli arti superiori ci sarebbe qualche esempio (assai raro) (ad es Anati op. cit. pag 167, orante femminile con braccia (quasi) unite sulla testa e due coppelle in mezzo alle gambe).
Credo insomma che il simbolo letto come “capovolto” sia altro, e comprenda le corna taurine e un altro oggetto sovrapposto.
Del resto, quando le rappresentazioni antropomorfe graffite (schematiche) assumono proporzioni maggiori, si assiste automaticamente ad una maggiore definizione dei dettagli naturalistici (dita, viso, genitali primari e secondari) com’è testimoniato, ad esempio, dalle braccia ricavate in rilievo sulle statue-steli della Lunigiana e Aosta, o dalle raffigurazioni naturalistiche (pitture) del neolitico della valle dell’Ubaye (cfr “Sui sentieri dell’Arte rupestre - Edizioni CDA, 1995), in cui all’estremità degli arti compaiono invariabilmente le dita. Il caso del “Capovolto” sui menhir antropomorfi sardi, sarebbe dunque l’unico esempio al mondo di antropomorfo con arti schematici a punta. (Si veda inoltre l’antropomorfo sul peso da telaio di Conca Illonis, in cui addirittura sono raffigurate le mani.)
Sebbene non possa dare il link di riferimento, ricordo che l’ipotesi di una diversa attribuzione del tridente è già comparsa in rete, sebbene mi sia parsa dubbia. Essa, se non ricordo male, si riferiva alla possibilità che alle corna taurine si sovrapponesse un coltello (in bronzo). Da parte mia, sarei portata ad escluderlo, poiché il coltello è effettivamente rappresentato alla cintola con dovizia di particolari (il caso di Tamadili I di (1) pag 23 è esemplare per la raffigurazione di un coltello in pietra). Non si dimentichi inoltre, che le raffigurazioni di coltelli in bronzo sono assenti sull’isola, laddove sono numerosissime nelle aree di confronto di cui parlavo pocanzi (essenzialmente di tipo Remedello).
E’ vero invece che in alcune rappresentazioni antropomorfe riconducibili alle statue-steli, sono raffigurati oggetti che si pensano quasi esclusivamente di uso simbolico, come le ben note “alabarde” (ad esempio la composizione pseudo antropomorfa del ‘Capitello dei due Pini’ a Paspardo – Valcamonica, fig 4; si notino anche cinque pugnali di tipo Remedello nella rappresentazione classica).
Le alabarde non avevano (si pensa) un uso pratico ma rappresentavano piuttosto il simbolo di un elevato status sociale (sul tipo degli stendardi medievali).
Ritengo insomma che varrebbe la pena considerare il ‘tridente’ da questo punto di vista, anche alla luce del graffito tipo 3 (fig 2, parte 1/2) che consiste (nella mia ipotesi) di due protomi taurine sovrapposte, unite dal tratto verticale. Tale rappresentazione si ritrova nei menhir antropomorfi sardi (ad es. Genna Arrele II, pag 15 in (1)) e le doppie protomi sovrapposte sono assai comuni come segno di rinascita nelle Domus de Janas (non sto a citare: da Villaperuccio in poi).
Per riassumere:
• ritengo debole l’attribuzione al graffito 1 del significato di ‘defunto in viaggio verso l’al di là’;
• credo che nei graffiti della Tomba dell’emiciclo siano rappresentati un simbolo femminile di rinascita ed altri simboli di ‘status sociale’ della famiglia di cui accoglieva i morti (tridenti singoli e doppi);
• ipotizzo che gli stessi simboli di ‘status sociale’ siano rappresentati sui menhir antropomorfi assieme ai coltelli, all’interno di un sistema simbolico che presenta evidenti analogie con quello coevo del Nord Italia, salvo le ovvie differenziazioni locali, con il quale sono attestati scambi culturali.
In conclusione, vorrei sottolineare ancora una volta come si tratti di suggestioni da non addetta (e visto che le suggestioni le hanno anche gli addetti ai lavori vorrei prendermi la stessa libertà).
Poiché scrivo in un blog mi pare ovvio che si parla tra amici e non si ha alcuna pretesa di gridare alla verità offesa o all’untore che nasconde i menhir.
Che sono tutti esposti museo di Laconi e raccomando caldamente di andare a vedere: avendone ammirati molti un po’ ovunque per l’Europa, posso assicurare che si tratta di un’espressione simbolica assai intrigante ed unica (gli unici che reggano il confronto per bellezza e capacità di coinvolgimento emotivo, sono quelli di S. Martin de Corleans ad Aosta e quelli di Sion). Tra l’altro un’espressione simbolica “nostra” e “vera”; per dirla con una sola parola: “Sarda”.
(1) http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_4_20060403120123.pdf
Fonte: http://exxworks.wordpress.com/