Lo cunto de lo capro, de li pescatori e de li diavoli saracini
di Luigi De Rosa
"Voga, vogaaa, muvimmc' 'e saracini, 'e saracini!"L'acqua ghiacciata frustava senza pietà i corpi rattrappiti dei tre pescatori nella piccola barca. Mentre issavano le reti,non dal nero abisso ma sputati chissa da quale inferno erano apparsi diavoli saraceni, decine di fuste si dirigevano verso
di loro. Ciro e Filippo col cuore che sambrava scoppiargli nel petto vogavano con tutte le loro forze,mentre Marco a prua alleggeriva la barca di tutto il possibile a malincuore ma fermamente.Era notte e anche le stelle e la luna sembravano essersi nascoste,terrorizzate. D'improvviso un'onda gigantesca,i tre si ritrovarono in mare, si liberarono di tutto,
dal fondo del mare si arrampicarono verso il cielo, schizzarono fuori,sputarono il sale, masticarono l'aria, si chiamarono,si ritrovarono: erano ancora vivi.
Poi quando la stanchezza e lo sconforto stavano per condannarli definitivamente, il cielo sembrò aver pietà di loro, l'oscuro mantello della notte scivolò giù nel mare spinto dall'aurora che si svegliava,lattiginosa ancella del Sole. A Ciro parve vedere una capra, no, no...un caprone!?!,lì, proprio davanti a lui, in mezzo al mare,belava?, lo chiamava?
Ormai il vecchio marinaio s'era convinto che nel delirio della fine Satana in persona vestito da ispido caprone lo aspattava, l'avrebbe accolto, per banchettare con gli amici saraceni:carne di Rum oggi a tavola,presto,venite miei magnifici bastardi! Solo il dolore alle gambe che urtarono graffiandosi sulla roccia lo risvegliò.Quello che aveva davanti non era un caprone, ma uno scoglio in mezzo al mare,sentì delle mani afferrarlo, erano quelle dei suoi compagni: "siamo salvi Ciro, un scoglio,uno scoglio ci ha mandato la Provvidenza!".
Forse per questo quello splendido scoglio inchiodato in mezzo al mare di Massa Lubrense,
da secoli è chiamato Vervece, dal latino Vervex :capro dal vello ispido e folto.
di Luigi De Rosa
(nella foto in basso "il Vervece" di Antonio Berton)