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Il carisma ai tempi di Facebook: autorevolezza di critici e recensori nel web 2.0

Creato il 27 giugno 2011 da Sulromanzo

Web 2.0 recensoriTutto comincia con l’abbandono da parte di Alessandro Puglisi del romanzo di Veronica Tomassini, “Sangue di cane”, edito da Laurana Editore nel 2010. Puglisi lo molla a pag 36 e, senza troppo questionare (o argomentare, secondo alcuni), lo denigra (si badi: il romanzo, non l’autrice).

Puglisi torna a De Lillo mentre sul blog si apre il dibattito: concordo!, dicono alcuni!, Non si può recensire un romanzo dopo aver letto solo 36 pagine!, dicono altri. Entra in scena, di passaggio, Giuseppe Genna che si dice “indignato” e riporta la sua solidarietà a Gabriele Dadati di Laurana Editore, alla Tomassini e a Giulio Mozzi autore, pare, della quarta di copertina, anch’essa criticata da Puglisi, il quale Puglisi secondo Giuseppe Genna è architetto (e quindi incompetente). Subito dopo Genna sparisce. La polemica si sposta allora non sulle sole 36 pagine (insufficienti a valutare un romanzo), ma sulla competenza del recensore. Tra un “lei non sa chi sono io” e un “ma chi ti conosce, ma chi sei? Abbi il coraggio di firmarti!”, entrano in scena gli strumenti che un recensore deve possedere per esprimere un parere argomentato. Si comincia a contestare non più la recensione – pardon l’abbandono di Puglisi – ma Puglisi stesso, incompetente, ha pubblicato a pagamento e via dicendo. Puglisi replica pacato, mentre altri anonimi (e qualche firma più o meno umana) dicono la propria circa la facoltà di recensire un romanzo da parte di chicchessia. “No! Non tutti possono farlo!”, occorrono gli strumenti. Strumenti ripresi a più voci in altri post. Entra in scena Alessandro Bertante chiamato in causa da un altro anonimo secondo il quale “Nina dei lupi” sarebbe giunto allo Strega dietro spintarelle. Bertante esce di scena perché “non parla con anonimi”, mentre la Tomassini prova a parlare, a fatica, con una “mucca”. Nel marasma generale appare Giulio Mozzi, anch’egli nominato da una non meglio precisata consonante, peraltro tra le ultime dell’alfabeto. Mozzi, serenamente, e dall’alto della sua autorevolezza (lo scrivente gliela riconosce appieno), mette in chiaro un bel po’ di cose e, puntualmente, replica alle accuse di Mr. S.

La Tomassini non ne può più, si difende da accuse di “antipatia” e di “mafiosità” e contrattacca a destra e a manca. Crea note su note ripescando commenti che le garbano denigrando quelli che non la aggradano. Ne esce anche una recensione positiva, di Paolo Bianchi. Positiva, quindi autorevole? O autorevole e quindi positiva?  O positiva perché autorevole? Sono domande, le mie.

La discussione prosegue su più fronti perché nel frattempo su facebook la riprendono Sul Romanzo, la Tomassini, Bertante di striscio e Giulio Mozzi su Vibrisse. La parola fine non sembra voler arrivare e anzi arriva una segnalazione alla Polizia, stuzzicata dalla Sig.ra Patrizia Guarino la quale si sente offesa dalla Tomassini. Veronica Tomassini a sua volta accusa la Guarino di stalking. Il dibattito degenera su Sul Romanzo e si chiede la chiusura dei commenti.

Resta comunque la domanda: Puglisi o chi per lui, ha il diritto di scrivere che un romanzo non piace e abbandonarlo a pag 36 o può farlo solo chi ha certi strumenti? Dal canto mio, sull’abbandono e la conseguente critica, quoto pienamente un anonimo-omonimo: “Non ho né tempo né voglia di seguire le polemiche ma, a mio modo di vedere, bocciare così drasticamente un romanzo, avendo letto – per ammissione – solo 36 pagine, cioè non avendolo letto, (fermo restando che anche chi elogia romanzi banali piattissimi ma candidati allo Strega lo fa per "marketting puro" senza averli letti) è semplicemente presuntuoso. Dopo aver letto 36 pagine l'unica cosa che si può dire, per me, è: non mi ha preso. Ma la mia domanda è, invece: se Puglisi avesse osannato – o anche solo non bocciato – il romanzo della Tomassini, sarebbe fuoriuscito tutto questo Sangue (di cane)?”

La domanda dell’anonimo è sensata, ma va precisato che il primo a non definirla recensione è stato Puglisi stesso: I lettori più assidui avranno sicuramente notato che chi scrive ha propensione ad occuparsi, di mese in mese, di recensioni. Questo articolo non sarebbe stato un'eccezione. Ed invece lo è.

La questione recensione/abbandono la chiudo con la mia risposta all’anonimo: Se Puglisi avesse osannato – o anche solo non bocciato – il romanzo della Tomassini, sarebbe fuoriuscito tutto questo Sangue (di cane)? La risposta è no, almeno secondo me. E per capire perché è no, basta scorrere le recensioni passate di Puglisi.

Con quanto sopra, chiudo la questione e apro quella che maggiormente mi interessa, come da titolo. Prendo spunto da un post di Giulio Mozzi. “l'autorevolezza non viene decisa da uno, ma è il risultato di un grande numero di reazioni positive. Nel momento in cui Tizio dice che lo stracchino è buono, e in molti lo stanno a sentire e assaggiano lo stracchino, ed effettivamente trovano che lo stracchino sia buono, e si parlano tra loro condividendo il giudizio - allora Tizio diventa, senza che nessuno l'abbia deciso, autorevole. Se poi c'è - e c'è sicuramente - qualcuno a cui lo stracchino non piace, questo qualcuno potrà (a) pensare che Tizio è un cretino, un mafioso che sostiene lo stracchino solo perché ci ha degli interessi particolari, ecc., (b) considerare Tizio come una persona ritenuta autorevole e che tuttavia di tanto in tanto si sbaglia, (c) fregarsene di Tizio e mangiare caciotta a volontà, ecctera.”

L’autorevolezza di cui parla Mozzi è, a mio avviso, chiarissima. Ma chi la possiede, nel web 2.0? La possiede Giuseppe Genna? O la possiedono anche Gian Paolo Serino, Gilda Policastro e Aldo Nove? Se sì, chi altri? (Siccome nessuno li aveva chiamati in causa, lo faccio io per completare il quadro dei miei intellettuali di riferimento).

E come si conquista l’autorevolezza nel web? E gli strumenti di cui sopra? Per recensire un romanzo, ci vuole la Laurea in Lettere e una Tesi su Benedetto Croce o è sufficiente aver letto tanto-tantissimo? Io credo che cit. “non essere laureati o non aver conseguito un dottorato vuol dire inevitabilmente essere privi di certi strumenti di analisi critica che si acquisiscono solo attraverso una formazione che non può esaurirsi con la maturità liceale, né procedere autonomamente attraverso la sola lettura dei libri. La sola lettura di libri è sufficiente ad alzare il pollice o ad abbassarlo, non ad esprimersi criticamente”.

A voi.

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L’autore tiene a precisare che il cappello a questo articolo era necessario per aprire l’argomento ma che trattasi di sintesi riportata a fini semplificativi. I commenti citati (o quelli citati in parte) non hanno alcuno scopo se non quello di riassumere. Non c’è nessuna intenzione di strumentalizzarli. Se volete leggere l’intero scambio lo trovate qui e qui e su facebook (se avete tra gli amici i diretti interessati).


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