Il caso Battisti e la Giustizia: più buonsenso e più valori

Creato il 16 gennaio 2013 da Brasilitalia

Il libro “Os cenários ocultos do Caso Battisti” [“Gli scenari occulti del caso Battisti”, NdT]  di Carlos Lungarzo chiarisce una vicenda finora opaca in Brasile. In vari momenti del processo il giudice Peluso [della Corte Suprema, organo simile alla nostra Corte Costituzionale, NdT] non solo ha disprezzato la mia formazione giuridica, ma ha anche manipolato le prove, allo scopo di estradare Battisti e consegnarlo al governo Berlusconi. Consiglio all’ex membro della Corte di leggere un po’ di più, per giudicare più secondo Kant che secondo Mussolini.

L´articolo è di Tarso Genro [l’ex ministro brasiliano della Giustizia che nel 2009 concesse l’asilo politico a Cesare Battisti, NdT]. 

Ho letto recentemente il libro del professor Carlos Lungarzo, Phd e professore universitario in Brasile e all’estero, attivista, difensore dei Diritti Umani, studioso della storia politica italiana recente. Già il titolo rivela la sua rilevanza per il contesto politico nazionale: “Gli scenari occulti del caso Battisti” (Ed. Geração, 2012, 367 pagine). Un libro brillante che chiarisce una vicenda finora opaca in Brasile.

Il “Caso Battisti”, come si sa, ha generato una gigantesca polemica nel Paese. Ha messo alla prova non solo la capacità combattiva – sul piano ideologico e politico – di una buona parte della sinistra brasiliana e dei democratici del Paese, ma anche l´attuale qualità giuridica e politica della nostra Corte Suprema, che aveva già giudicato casi simili concedendo asilo politico a militanti coinvolti nella lotta armata degli “anni di piombo” in Italia.

Nel “Caso Battisti” non si trattava – in nessun caso –  di contrapporre individui o gruppi politici che fossero pro o contro la lotta armata durante quel periodo amaro della storia italiana. E nemmeno si trattava di contrapporre coloro che accettavano o accettano metodi di lotta rivoluzionaria a coloro che non li accettano, quando vige uno Stato di Diritto. Si trattava in realtà di esaminare due questioni ben chiare, in un caso concreto: Battisti commise i suoi presunti reati a partire da azioni sovversive contro lo Stato, con convinzione ideologica e politica? In caso di estradizione, avrebbe potuto subire un trattamento ingiusto?

Partendo da un attento studio del processo, ho sempre sostenuto insieme alla mia équipe (coordinata da due brillanti sottosegretari, il sottosegretario esecutivo Luiz Paulo Barreto e il sottosegretario agli Affari legislativi Pedro Abramovay) che qualsiasi giudice che avesse esaminato il processo – senza cecità ideologiche – si sarebbe accorto che Cesare Battisti era stato condannato senza prove. Il suo processo in Italia è uno scandalo per gli errori formali e materiali, che possono essere spiegati solo con la crisi dello Stato vissuta dall’Italia in quel periodo.

La condanna senza prove, opportunamente contestualizzata, avvenne in uno scenario di azioni paramilitari di estrema destra e di estrema sinistra, nel quale le azioni terroristiche di destra venivano trattate in modo diverso sia da parte della polizia che da un settore importante della magistratura: forti residui fascisti era ancora radicati nello Stato italiano, sotto il patrocinio della Nato, nell’ambito della Guerra Fredda. Un quadro storico, pertanto, capace di trasformare la politica in azioni armate. Il libro del professor Lungarzo mostra chiaramente che era questa la situazione in quegli anni difficili della storia italiana.

Ma vediamo anche che cosa emerge con chiarezza dalle due “domande chiave” del processo.

Innanzitutto il ministro Francesco Cossiga, uno dei grandi “capi” politici della Democrazia Cristiana durante gli “anni di piombo”, riconobbe per iscritto (il suo atto è trascritto nel mio mandato di accettazione della richiesta d´asilo) che Battisti era un “criminale” politico (pag. 111 del libro).

In secondo luogo: nell’abbondante documentazione del processo c´era anche la prova che, sebbene nell’Italia di quegli anni vigesse lo Stato di Diritto, quello che avveniva nella quotidianità delle politiche di sicurezza dello Stato (in merito alla repressione non solo degli atti terroristici, ma anche dei gruppi dissidenti di sinistra) era “l’emergenza”. Ovvero: la tortura e gli omicidi da parte delle mafie fasciste, coperte da parte dell’apparato dello Stato (e molte tuttora impunite), accompagnate da un controllo dei mezzi di comunicazione al fine di incriminare sempre la sinistra armata, perfino per gli atti terroristici architettati dalla Nato insieme a una parte dei servizi segreti italiani.

Il libro descrive minuziosamente quel periodo, citando fonti di varia origine, non solo della stampa non controllata dalla Democrazia Cristiana, ma anche di Amnesty International e di persone che parteciparono a quel periodo. Supportato dai documenti, descrive il clima politico di violenza smisurata di quei tristi anni della democrazia italiana: i rapporti dei gruppi fascisti con i servizi segreti italiani, i legami della mafia con il potere imprenditoriale e politico di allora, la complicità di una parte della magistratura italiana con il regime di “emergenza”.

(L’”emergenza” fu promossa, allo stesso modo, dal connubio di una parte significativa dei dirigenti della Democrazia Cristiana con il terrorismo di destra, che precedette le azioni violente dei gruppi comunisti dissidenti, culminato nell’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna, che uccise 300 innocenti).

Allarma e dev’essere sempre tenuto presente il motivo per cui tutto ciò non è stato discusso dai media, che si sono preoccupati di nascondere la vera natura del processo e i suoi aspetti materiali fondamentali, e il motivo per cui il giudice Cezar Peluso, durante il processo, ha distorto o omesso completamente il quadro storico che avrebbe potuto sbrogliare il contesto “politico” dei reati ascritti a Cesare Battisti. Ignoranza? Mala fede?

Sinceramente non credo che un solo giudice della Corte Suprema abbia agito per ignoranza o mala fede, sebbene non sia bello far ricorso a lunghe e catartiche citazioni durante il processo, poiché qualsiasi tesi di laurea attualmente si avvale dell’aiuto di Google e fornisce testi che sembrano proprio opera di eruditi e rinomati giuristi. Nella post modernità fraudolenta, ai fini di saggezza e conoscenza, conta più saper fare ricerche sul web che aver acquisito rudimenti di storia e filosofia per comprendere i fenomeni sociali e giuridici.

È ovvio che l´ideologia del giudice condiziona sempre la scelta delle diverse possibilità di interpretazione delle leggi, e proprio questa consapevolezza fa si’ che il punto di partenza metodologico della sentenza – soprattutto in casi di questa natura – non debba essere l’inclinazione nei confronti di  “uno dei  contraenti”, di una delle “parti” politiche a confronto.

Il punto di partenza metodologico dev’essere non la lotta di classe allo stato puro – i “proletari armati” contro parte della “borghesia mafiosa” che occupa parte dello Stato – ma i valori universali che sono in gioco. Perché? Precisamente perché il contenzioso, come fatto storico concreto, può non essere esattamente quello che ho descritto. Allora i parametri per decidere devono essere cercati nelle conquiste universali dell’umanesimo moderno e non nelle “preferenze” istintive dei giudicanti.

Nel caso concreto di Battisti i fattori in gioco, come valori contrapposti, erano i seguenti: la presunzione di innocenza; l’ipotesi che gruppi armati, in quella circostanza, insorgessero contro governi e Stati che “sbarravano” la strada alla possibilità di trasformazione all’interno del processo democratico; l’ipotesi che i gruppi di potere del paese che all’epoca chiedeva l’estradizione, lo facessero con metodi illegittimi. L’ipotesi che il governo che chiedeva l´estradizione in quel momento (ricordiamo che era Berlusconi) non si mostrava interessato a rispettare la normativa internazionale sui Diritti Umani. Questa è proprio l’analisi che è mancata allo Stato brasiliano quando consegnò Olga Benário ai nazisti. Ed era ciò che i media, schiacciati sulle tesi del governo italiano, hanno cercato di impormi in quella circostanza.

Questi sono valori democratici e liberali, e sono sintetizzati nella grande rete di diritti che protegge il cittadino dall’arbitrio dello Stato e dagli abusi di potere che esso comporta, in qualsiasi regime. Basandoci su questa concezione noi – che eravamo al Ministero della Giustizia all’epoca del ”affaire” Battisti – abbiamo concesso diverse volte l’asilo politico a cubani che si trovavano in Brasile, senza lasciarci influenzare in quell’occasione dal giudizio  - anche se diverso dal nostro – che la Corte aveva sul regime vigente a Cuba.

Leggendo il libro del professor Lungarzo si capisce perché allora la maggior parte dei  media brasiliani mentirono in ripetutamente sulla questione dei cubani, basandosi su un´informazione preliminare falsa del giornalista Elio Gaspari: era necessario screditare il Ministro della Giustizia per legittimare un’estradizione illegale che pensavano avesse già la maggioranza della Corte Suprema. Mettere in giro la falsa notizia secondo cui mentre “davo asilo a Battisti” – un “terrorista” – “consegnavo” i cubani alla “dittatura castrista”, significava creare un´aura di simpatia intorno alla Corte Suprema, per mettere Battisti a disposizione di Berlusconi e della sua mafia al potere.

In realtà è stato provato che furono gli stessi cubani rientrati a Cuba, assistiti dalla Procura federale e dall’Ordine degli Avvocati, ad aver fatto la scelta di tornare. In un secondo tempo lo dichiararono all’estero, con scarsa ripercussione sui media brasiliani.

La manipolazione dell’informazione nel caso Battisti non è una “questione minore” per la democrazia brasiliana: si tratta di una questione di uguaglianza dei mezzi, in una democrazia formale, per dare concretezza a diritti fondamentali, come la libertà di stampa, che ha senso soltanto se si lega al diritto tangibile alla libera circolazione delle idee, senza la quale la libertà di stampa diventa un mero apparato di dominio destinato a  diffondere le opinioni dei “proprietari” dei media.

In vari passaggi della sua dichiarazione di voto il giudice Peluso, originario della magistratura di San Paolo, e che fu allievo di Alfredo Buzaid (ministro della Giustizia durante la dittatura, il cui atto più rilevante fu coprire le torture commesse nelle carceri del regime) e di Miguel Reale, (celebre filosofo del Diritto, simpatizzante delle idee di Mussolini e dei programmi giuridici “democratici” del regime militare) non solo ha trattato con disprezzo la mia formazione giuridica, ma ha anche manipolato le prove nel processo, con l´obiettivo di estradare Battisti e consegnarlo al governo repubblicano di Berlusconi.

Per quanto riguarda la prima parte, credo che abbia ragione, giacché i miei maestri sono altri: più Ernst Bloch, Ferrajoli e Konrad Hesse che Buzaid e Miguel Reale. Per la seconda parte, quella della manipolazione delle prove nel processo di estradizione, si tratta di una questione di cultura generale. Consiglio all’attuale ex ministro di leggere un po' di più, di informarsi un po’ di più, di ascoltare un po’ di più le persone che hanno una formazione intellettuale diversa da quella dei suoi maestri, per giudicare più secondo Kant che secondo Mussolini: più “valori” e  quindi meno contingenza ideologica trasmessa dai maestri diretti. Per fortuna ci sono ancora dei giudici a Berlino, e  il Brasile ha ancora Presidenti degni di questo nome.

Traduzione di Andrea Torrente

Fonte: Correaneto


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