Il caso Bramard, di Davide Longo

Creato il 27 maggio 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Autore: Davide Longo
Titolo: Il caso Bramard.
Anno: 2014
Pagine: 256
Casa Editrice: Feltrinelli
Collana: Narratori
Genere: Giallo
Formato: Cartaceo/ebook
Prezzo: 17 € (9,99 in ebook)

Trama:
Corso Bramard è stato il commissario più giovane d’Italia. Meditabondo, insondabile, introverso eppure capace di intuizioni prossime alla chiaroveggenza. Fino a quando un serial killer di cui seguiva le tracce ha rapito e ucciso la moglie Michelle e la piccola Martina. Da allora sono passati vent’anni. Corso vive in una vecchia casa dimessa tra le colline, insegna in una scuola superiore di provincia e passa gran parte del tempo arrampicando da solo in montagna, spesso di notte e senza sicurezze, nell’evidente speranza di ammazzarsi…

Giudizio:
Il nuovo romanzo di Davide Longo, del quale sempre va lodato il bellissimo “Mangiatore di Pietre”, è un giallo dalla scrittura secca, essenziale, quasi scarnificata. Ma essenziale non vuol dire affatto povera. I dettagli e le storie parallele sono molti, e si colgono solo dopo una seconda lettura, perché la prima va via spedita per seguire il filo che condurrà all’epilogo.
Bramard, che di nome fa Corso per via di una storia partigiana precedente alla sua nascita, insegna in una scuola superiore di provincia dopo aver abbandonato vent’anni prima la polizia, di cui era diventato “il commissario più giovane d’Italia”, a Torino. È un tipo rude e di poche, pochissime parole. Ha lasciato la città per tornare a vivere nel Roero, nella vecchia cascina di famiglia, tra viti in abbandono e trattori arrugginiti, dove “l’aria complessiva era quella di un luogo dove la vita aveva fatto scalo per poi dirigersi altrove”. E continua, a vent’anni dalla fine di una serie di delitti (di cui l’ultimo è stato il più doloroso e vicino), a giocare una partita con l’assassino mai scoperto. È stata lunga, quella lontana serie di omicidi: cinque ragazze bellissime, con la schiena colma di tagli a comporre un disegno; la mutilazione delle dita dei piedi, le gole recise, i lunghi capelli neri sempre tagliati. (Solo una, prima di esse, è stata rapita ma lasciata viva). E poi, le lettere scritte a macchina (con una Olivetti del ’72) che indicavano alla polizia dove ritrovare i corpi.
Ci può essere molta bellezza, nell’orrore. Quando Bramard scopre questa consapevolezza in sé esplode, deraglia, non può più continuare. Si perde, dunque, e ci mette parecchio a ritornare ad una vita comunque immobile, congelata.
Nei vent’anni successivi all’ultimo delitto, l’ex commissario riceve 13 lettere che compongono il testo di una canzone di Cohen (The story of Isaac, 1969). E nell’ultima c’è qualcosa che riapre il caso, permette di continuare la partita, di farla ripartire da dove si era interrotta. Di nuovo a Torino. A Bramard tocca dunque riprendere il filo. Lo affiancano, perennemente scazzati e ruvidi ma non per questo meno coinvolti, il classico “commissario meridionale al nord” (a volte davvero troppo macchiettistico, con eccessi alla Lino Banfi) e una giovane poliziotta borderline troppo simile alla Lisbeth Salander di “Uomini che odiano le donne” (tanto che lo stesso autore è costretto a giocarci, confessando esplicitamente la somiglianza). Da qui in poi, sarebbe sbagliato aspettarsi che, in un giallo sabaudo, ci sia l’azione di un romanzo di Nesbo. Tutto è molto lento, e spesso anacronistico: i telefoni a gettoni o con il disco, la Volvo Polar, lo sciroppo di tamarindo (che, allungato con l’acqua, ha lo stesso colore delle maglie del Grande Torino), i sucai a manciate nelle tasche dei pantaloni, le buste delle lettere scritte a macchina con la Olivetti del ’72, i versi della canzone di Cohen scritti a mano con una Montblanc, i sandali indossati da Bramard…
La vita dell’ex commissario si è fermata vent’anni prima, e se non ci fosse il continuo tap tap sull’iPhone e sul PC di Isa, sembrerebbe di stare ancora in quell’epoca.
(E qui citiamoli, altri due anacronismi en passant: Isa non può avere un iPhone nel 2006, perché il primo verrà lanciato negli USA solo nel 2007; è improbabile che Bramard, come dichiara, abbia fatto parte del Partito d’Azione quando viene nominato “il più giovane commissario d’Italia” nel 1981, perché il Partito d’Azione si sciolse nel 1947).
Piccole incongruenze a parte, il romanzo si lascia leggere con piacere, e il ritmo lento riesce in qualche modo a trasformarsi in ipnotico: il lettore resta impigliato, incuriosito, convinto a proseguire fino al disvelamento ed al finale.

Sull’autore:
Davide Longo è nato a Carmagnola, non lontano da Torino. Nel 2001 ha pubblicato per la Marcos y Marcos il romanzo Un mattino a Irgalem con il quale ha vinto il Premio Grinzane opera prima e il Premio Via Po. Dello stesso anno è il libro per bambini Il Laboratorio di Pinot. Nel 2004 è uscito il suo secondo romanzo Il Mangiatore di Pietre (Marcos y Marcos), Premio Città di Bergamo e del Premio Viadana. È regista di documentari (Carmagnola che resiste, Memorie dell’Altoforno), autore di testi teatrali (Pietro Fuoco e Cobalto, Il lavoro Cantato, Ballata di un Amore Italiano, About Fenoglio) e autore radiofonico per RadioRai (Centolire, Luoghi non Comuni). Ha scritto per Repubblica, Avvenire, Slow Food, Donna, Lettere, Travel. Del 2006 è La Vita a un Tratto, ed. Corraini. Nel 2007 ha curato per Einaudi l’antologia Racconti di Montagna, e pubblicato per Corraini il libro E più non Dimandare, realizzato con il pittore Valerio Berruti.
Nel gennaio 2010 è uscito per l’editore Fandango il suo terzo romanzo L’Uomo Verticale, vincitore del Premio Lucca. Nell’estate dello stesso anno il volume Il signor Mario, Bach e i settanta (Keller Editore). Vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. I suoi libri sono tradotti in molti paesi.

Marco Zanette



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