Intanto il tempo trascorre e la non così grande comunità potentina appare una specie di Peyton Place dalle tinte ancora più fosche. Ci sono gruppi di adolescenti che si accusano a vicenda e che dicono spesso il falso. Ci sono altri gruppi, questa volta di adulti, che fanno in modo che le prove scolorino e gli indizi vengano occultati. Ci sono le segnalazioni che indicano la presenza di Elisa un po’ in tutta Italia e poi in Albania. C’è la finta mail dal Brasile che dice “sto bene, non torno”. Fino a quando, nella primavera del 2010, un cadavere viene ritrovato nel sottotetto della chiesa della santissima trinità, proprio quella da cui la ragazzina scomparve. Era sempre stata lì, Elisa, a due passi da tutti, coperta da assi, calcinacci e tegole. Ed è difficile credere che i sacerdoti che si sono avvicendati nel corso del tempo non abbiano mai saputo, dato che a più riprese qualcuno potrebbe averci messo le mani in quell’angusto locale accanto al campanile. Di fronte a questo scenario, scrive Pino Casamassima:
Il fratello di Elisa ha chiesto che sia fatta chiarezza su tutte le responsabilità, perché se da un lato l’omicidio in sé presenta ormai contorni precisi, dall’altro, sul versante delle complicità e delle reticenze, sono ancora predominanti ombre e oscurità. Per questo motivo Gildo si è rivolto direttamente a chi “per viltà, ignavia o sudditanza al potere, non ha parlato pur sapendo. La verità deve venire fuori, è un dovere civile di coraggio verso una città intera che ha il diritto di sapere.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Domani diretta da Maurizio Chierici)