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Il caso del 19enne italiano ucciso dagli inglesi in realtà lituani e le tante ombre del giornalismo spettacolo

Creato il 27 ottobre 2013 da Catreporter79

Gb, 19enne italiano ucciso: “Rubava lavoro agli inglesi”

 Raid nel Kent: «Italiani, ci rubate il lavoro»

 19enne di Lecco ucciso a calci e pugni

 Joele Leotta, 19enne italiano ucciso a botte in Inghilterra: “Ci rubi il lavoro”

 Ucciso perché «voleva rubare lavoro agli inglesi»

 

Questi alcuni dei titoli, molto forti, utilizzati dagli organi di stampa italiani in merito al caso del 19enne di Lecco barbaramente assassinato in Inghilterra qualche giorno fa. Titoli, come abbiamo detto, forti e ad elevatissimo impatto emozionale, che facevano supporre una certezza, da parte dei cronisti, riguardo la dinamica dei fatti. Joele era stato ammazzato perché italiano. Un italiano che “rubava” il lavoro. Procedendo nella lettura dei pezzi, il lettore meno disattento non poteva però fare a meno di notare una certa confusione ed una certa vaghezza, nella ricostruzione cronistica. Sembrava che i ragazzi inglesi e Leotta avessero litigato, nel locale dove il 19enne lavorava, per motivi sociali e “razziali” (“ci rubate il lavoro”), sembrava che i killer avessero, una volta fatta irruzione nella stanza della vittima, urlato il loro odio etnico, ma tutto era formulato ed imperniato sul condizionale. Pare, qualcuno avrebbe detto, qualcuno avrebbe visto, qualcuno avrebbe sentito. Non c’era nemmeno, inoltre, la certezza che gli aggressori odiassero il giovane Leotta proprio in quanto italiano e non, più genericamente, in quanto straniero che “rubava” il lavoro agli autoctoni. La notizia, così confezionata, ha fatto il giro dei circuiti audiovisivi e cartacei nazionali, fino a che gli inquirenti di Sua Maestà non hanno scoperto che gli assassini, 4 per l’esattezza, non erano inglesi ma lituani e che il movente non è o non sarebbe sociale o “razziale” ma dovuto e allo stato di alterazione causato dalle sostanze allucinogene e alcoliche assunte dalla sciagurata comitiva. Ma c’è di più: sempre secondo gli investigatori, alla base del gesto potrebbe esserci, addirittura (anche in questo caso è d’obbligo il condizionale), uno scambio di persona. Altroché crociate di tipo etnico. Siamo dunque in presenza di un errore che si colloca al di là delle più elementari regole alla base dell’indagine e della narrazione giornalistica: manca il “Fact checking” (verifica dei fatti), manca il “Gatekeeping” (selezione dei fatti/notizie), manca la “Discovery” (ricerca degli elementi per la costruzione dell’articolo). Mancano, cioè, gli elementi cardine di quel “precision journalism” nato con i leggendari “muckrakers” di memoria rooseveltiana e codificato da Waklter Lippman, il più illustre dei reporter statunitensi del secolo XXesimo. Semplice trascuratezza? O, forse, il tentativo di fare sensazione, di fare ” Infotainment “, per qualche copia o click in più o per vedere schizzare l’audience? Si, forse, o forse c’è dell’altro. Forse, molla dell’ equivoco” è stato il movente politico, al servizio o della propaganda “migrazionista”, che in questo modo voleva mostrare al segmento xenofobo italiano il trattamento riservato ai nostri connazionali all’estero facendo ricorso al metodo dell’immedesimazione (“vedete che cosa si prova”) oppure al servizio della propaganda più retrivamente identitaria (“ecco gli inglesi cosa fanno a chi ruba loro il pane”). Il tutto, approfittando dell’onda emozionale causata dalle recenti tragedie lampedusane. In ogni caso e in tutti i casi, sia che si tratti di superficialità o di asservimento all’elemento politico-ideologico, ancora una volta il “grande” giornalismo, quello a tanti zeri, ha dato prova e dimostrazione di tutta la sua debolezza e inaffidabilità.

 

Un pensiero ai familiari ed agli amici del povero Joele.



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