Il caso Galliano e la maleducazione nella moda
Creato il 05 marzo 2011 da Polistyles Hot&cool
Nei giorni scorsi ci siamo chiesti se e in che termini parlarvi del cosiddetto "Galliano Gate", cioè della vicenda (per la verità abbastanza squallida) che vede coinvolto il noto stilista di origini britanniche John Galliano, direttore creativo di Dior oltre che della linea di abbigliamento che porta il suo nome. Eravamo incerti sul da farsi, anche perchè la questione si è rapidamente trasformata in materiale da gossip. Non si contano blog, siti, magazine online e cartacei, quotidiani che hanno "coperto" la notizia molto più velocemente ed esaustivamente di quanto avremmo potuto fare noi.Poi è giunto, per certi versi inaspettato, l'annuncio che la sfilata di Galliano prevista per domenica a Parigi è stata annullata. Un piccolo dramma nel mondo della moda, un evento difficile da ignorare per chiunque si occupi della materia.Per chi ancora non lo sapesse, lo stilista è stato arrestato e rilasciato dalla Gendarmerie di Parigi in seguito alla denuncia di una coppia alla quale ha rivolto pesanti insulti a sfondo razzista e antisemita in una brasserie di Rue de la Perle, nel quartiere Marais di Parigi. Galliano, 50 anni, evidentemente ubriaco, ha concluso la sua invettiva con un poco fraintendibile "I love Hitler" che ha fatto il giro del mondo, anche perchè il video della scena, originariamente pubblicato dal tabloid "Sun", spopola su YouTube. Come se non bastasse è saltata fuori una donna che ha raccontato come Galliano l'avrebbe apostrofata nello stesso locale lo scorso autunno: "Sei talmente brutta che non sopporto la tua visione. Hai stivali di bassa qualità, gambe di basso livello, non hai capelli, le tue sopracciglia sono immonde. Non sei che una puttana e si vede....". Immediata (forse fin troppo) è stata la reazione di Dior, che attraverso il CEO Sidney Toledano ha dapprima sospeso e successivamente licenziato in tronco lo stilista che guidava la storica maison parigina dal 1997. Facile immaginare che dietro la decisione della casa di moda ci sia la volontà di Bernard Arnault, patron di Lvmh, la società che detiene il 100% di Dior e il 90% di John Galliano oltre a Louis Vuitton, Marc Jacobs e molti altri. Arnault è uomo d'ordine che mal tollera comportamenti sopra le righe, Dior è un marchio classico che propugna tolleranza zero contro razzismo, xenofobia e antisemitismo. Se anche l'attrice Nathalie Portman (Premio Oscar, israeliana e ebrea, nonché donna immagine di Dior) si dice "disgustata" dalle parole di Galliano la frittata è fatta è la conseguenza si chiama conferma della sfilata di Dior ma annullamento di quella "personale" della linea Galliano, con un intento punitivo sul piano personale neanche tanto nascosto.Che dire a questo punto delle cose? Ci vengono in mente alcune considerazioni. La prima è che il talento di Galliano come couturier non è in discussione, anche se il momento di massima creatività artistica del britannico è passato da un pezzo. La seconda è che il "Galliano gate" sembra un dono del cielo arrivato al management di Dior. Si vocifera infatti che Arnault e soci meditassero già da tempo di liberarsi dell'ex enfant prodige, non più gallina dalle uova d'oro (leggasi calo delle vendite) e oltretutto non propriamente in linea con i dettami della maison Dior. C'è addirittura chi ha insinuato che Lvmh abbia in qualche modo montato lo scandalo ad arte, ma a noi sembra francamente eccessivo. Di sicuro la rapidità del licenziamento di Galliano, comunicato ben prima dell'evidenza della prova, lascia spazio a qualche sospetto. Il terzo punto, e qui ci schieriamo sulla linea di Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, è che Galliano è comunque un uomo che ha commesso un errore ma è certamente anche vittima: di se stesso e delle proprie debolezze, dell'alcool, ma anche di quel mondo della moda che ha "ucciso" Alexander McQueen e soprattutto di persone senza scrupoli che hanno provocato la reazione di uno stilista ubriaco per raggranellare un po' di sterline vendendo il video (girato a dicembre) ad un tabloid scandalistico.Last ma assolutamente non least, almeno per noi, è la riflessione - forse più sociologica, forse solo più semplice - che la vicenda innesca.Banalmente la parabola discendente di Galliano testimonia che la maleducazione non paga. Non stiamo parlando di eccessi del personaggio, nemmeno di volgarità artistica: i primi spesso si accompagnano al genio, la seconda è una precisa scelta stilistica. Ci riferiamo all'inspiegabile nesso che sembra legare creatività artistica a comportamenti disdicevoli, dagli insulti razzisti all'alone di terrore che circonda non solo le Anna Wintour ma quasi chiunque si trovi a detenere un ruolo di potere, come se il capo dov'esse per forza urlare per ricordare ai suoi collaboratori che in fondo sono solo reclute. Atteggiamenti che sarebbero censurati in qualunque ufficio pubblico, ma che nella moda vengono tollerati come se facessero parte del kit del creativo - tipo. E invece no. Basta. Si può "urlare" in passerella con lustrini e paillettes, si può scandalizzare in molti modi se proprio si vuole, ma l'insulto e le volgarità proferite da labbra di stilista non sono più nobili del turpiloquio del comune mortale: entrambi meritano una censura. Probabilmente Galliano pagherà per tutti, ed è tragico che a farlo sia uno stilista tra i più dotati in assoluto, ma questo sacrificio potrebbe essere parzialmente ripagato se avviasse un percorso virtuoso per una moda più educata.
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